Giovanni Toti game over, ma il Totismo continua. Dunque rimangono ancora in ballo alcune integrazioni e rettifiche da farsi riguardo alla vicenda ligure. Innanzitutto che non si trattò di corruzione bensì di concussione. Per cui chi incassava la prebenda non era un’ingenua verginella vittima di biechi traviatori, stante che le parti erano invertite.
Infatti nella losca faccenda l’iniziativa era sempre promossa dal richiedente dazioni; il presidente che – tra l’altro – fin dall’inizio mandato aveva predisposto una cassaforte (il fondo Change) in cui far confluire i pagamenti dei favori illeciti scambiati.
Il fatto che il “domiciliare” continui a proclamare la liceità dei propri comportamenti rivela un grave fraintendimento indotto dalla cultura in cui è cresciuto; figlia dell’orgia di privatismo demenziale di questa epoca: la convinzione di essere non a capo di una istituzione rappresentativa democratica bensì titolare di uno shop center; un emporio in cui i beni del territorio amministrato potevano essere venduti a tranche. Equivoco acuito dalla teoria che equipara il voto all’antidoto per qualsivoglia malefatta. La tesi che il politico eletto non è sindacabile, pena un vulnus di democrazia, proclamata dal costituzionalista di corte Sabino Cassese, sempre pronto a blandire lorsignori (con il batrace in doppiopetto Nordio a gracidare la stessa solfa). Tuttavia, per dare a Cesare… va detto che l’arabesco giuridico del Cassese è il plagio di un’acrobazia teologica di un personaggio dimenticato del berlusconismo agli albori: Don Gianni Baget Bozzo, il prete da Controriforma (anche a livello look: sempre in tonaca perché spregiatore del clergyman da Vaticano II) di cui sono testimone della confessione che – a lui – della rivelazione cristiana non poteva fregargliene di meno, visto che quanto gli interessava era un’istituzione bimillenaria: la Chiesa, dunque il Potere; identificato in figure dominanti come il catafratto cardinale Giuseppe Siri, poi il decisionista Bettino Craxi e infine l’ultimo innamoramento. Il Silvio Berlusconi unto dal signore in quanto eletto dal voto popolare (a prescindere dall’aiutino angelico della tv Mediaset, telegiornali dell’adorante Emilio Fede in primis).
Ma se per Cassese trattasi di spregiudicato tip tap per villeggiare ai piani alti, la tesi spudorata che il politico non può essere messo sullo stesso piano del semplice cittadino trova altre motivazioni nel (piuttosto esiguo) coretto di prefiche attorno alla salma della democrazia violata. Per Carlo Calenda si tratta del chiodo solare da quando indossava l’aquilotto da funzionarietto confindustriale, illudendosi di essere cooptato in una classe privilegiata da preservare dai contatti indebiti col popolino. Mentre per Ignazio Benito La Russa è l’acrobazia ipocrita di chi s’atteggia a guardiano della democrazia quando – in realtà – vuole solo tutelare il diritto a prevaricare dei presunti superuomini della Casta (e sarebbe ora che qualcuno consigliasse alla senatrice a vita Liliana Segre di sottrarsi agli abbracci strumentali del presidente del Senato, finalizzati a camuffare le sue simpatie per la pulizia etnica del fascistoide Netanyahu in ripulsa dell’antisemitismo).
Ma dopo che il Presidente di Regione Liguria, aggrappato alla poltrona come il mitile allo scoglio, si è ormai fatto da parte, la vicenda non può dirsi conclusa. Visto che è prevista l’elezione del successore nel prossimo ottobre. E non è detto che avvenga il ricambio di schieramento, stante che il blocco di consensi abbienti/impauriti-corruttori/concussi non è stato smantellato; sostituito in itinere da un’aggregazione per l’alternativa di sistema. Sicché è possibile che il dopo-Toti torni a essere un totiano. Che ne so, magari un Edoardo Rixi candidato a forza.
In ogni caso il fronte anti destre affaristiche dà per scontato che comunque ci sarà l’alternanza; con due scuole di pensiero: secondo alcuni ciò che conta è comunque scacciare dal Palazzo l’attuale personale compromesso; per altri non basta cambiare facce, semmai urge un risanamento profondo della politica ligure. Questa seconda posizione trae forza dalla consapevolezza che il prima di Toti (la presidenza di Claudio Burlando) è stato l’anticamera del suo arrivo: il Totismo come un Burlandismo in salsa Biscione. Con Aldo Spinelli ad assicurare la continuità, in quanto ufficiale pagatore tanto del vecchio come del nuovo presidente.
Insomma, la locale nomenclatura della partitocrazia di sinistra non dovrebbe essere lasciata decidere nelle segrete stanze (e in quattro gatti) organigrammi verticistici per un puro ritorno al passato. Magari mettendo in campo – quale improbabile “salvatore della patria” – un esponente della corporazione trasversale della politica politicante quale Andrea Orlando; che in tutti questi anni ha tutorato lo scenario ligure a sinistra con un solo scopo: segare qualsivoglia rinnovamento che ne minacciasse il sistematico ritorno indisturbato a Roma a tessere la propria tela di cacicco.