Le dodici bare del Golan aumentano l’angoscia per la situazione in Medio Oriente. Se si pongono accanto alle bare dei 14000 bambini massacrati a Gaza, appare evidente che non ci si può fermare alle singole fasi del conflitto ma che l’unica soluzione è una svolta radicale e definitiva. Il riconoscimento di due stati: uno israeliano, uno palestinese.

Un singolare pudore circonda la risoluzione votata a metà luglio dal parlamento israeliano sulla cancellazione del diritto dei palestinesi ad uno stato. I media vi hanno dato pochissimo risalto. Eppure è un atto di indirizzo politico – pienamente condiviso dal governo Netanyahu – che a livello nazionale e internazionale scardina le regole su cui si basa la presenza di Israele sulla scena mediorientale.

“Uno Stato palestinese nel cuore di Israele costituirebbe una minaccia esistenziale per Israele e per i suoi cittadini, perpetuerebbe il conflitto israelo-palestinese e destabilizzerebbe la regione”, afferma la risoluzione passata con 68 voti a favore su 120, con l’appoggio della coalizione governativa che sorregge Netanyahu e del partito centrista di Benny Gantz. Solo 9 i voti contrari, quelli dei laburisti e dei partiti arabi. I deputati del partito di opposizione di Yair Lapid, consci della gravità del documento, sono usciti dall’aula.

Secondo la risoluzione, promuovere l’idea di uno stato palestinese sarebbe una “ricompensa per il terrorismo”, incoraggerebbe Hamas e favorirebbe la presa del potere del jihadismo in Medio Oriente. Ma queste sono frattaglie propagandistiche: il nocciolo sta nel No di principio a uno stato palestinese. “Israele respinge la soluzione dei due Stati”, è stato il titolo lapidario dell’Osservatore Romano. Il giornale vaticano ha voluto peraltro ricordare che il 10 maggio scorso l’assemblea dell’Onu ha dichiarato con 143 voti a favore su 193 che la Palestina “è qualificata a diventare Stato membro”. E’ la posizione di più di tre quarti della popolazione mondiale.

Rifiutare da parte di Israele la nascita di uno stato di Palestina ha un significato drammatico. Se l’essenza dell’antisemitismo è la demonizzazione totale dell’Altro, rifiutandogli piena cittadinanza e dignità statuale, costringendolo con violenza fisica o psicologica a scegliere se abbandonare la propria terra oppure accettare di essere sottomesso ad un potere che decide totalmente della sua vita, la risoluzione del 17 luglio della Knesset è – metaforicamente – profondamente antisemita. Quella che nel gergo popolare è chiamata spesso “Terrasanta” appartiene egualmente ad ebrei e palestinesi. Non è “degli” israeliani. E’ terra di entrambi i popoli. Laicamente. Perché nell’ordine internazionale non c’è nessuna divinità che distribuisce e regala territori. Non può esserci.

La gravità della scelta compiuta dal governo e dal parlamento israeliano, compreso il partito di Benny Gantz che sembrava moderato, non sta soltanto nell’atto di stracciare gli accordi di Oslo del 1993 tra Yitzak Rabin e Yasser Arafat, ma nello scardinare il patto fondativo della nascita di Israele: la decisione delle Nazioni Unite nel 1948 di dare vita ad uno stato ebreo e ad uno stato arabo. Israele ha diritto di esistere in quanto al suo fianco esiste uno stato palestinese e lo stato di Palestina ha diritto di esistere in quanto accetta la vicinanza dello stato israeliano.

C’è un punto su cui anche i partner e gli amici della bandiera con la stella di Davide devono fare chiarezza ai governi israeliani: non tocca a Israele decidere se o quando possa nascere uno stato palestinese. Non è facoltà di Israele deciderlo. Il diritto dei palestinesi ad un loro stato è primario. Per chi ama la storia, la cultura, lo spirito dell’ebraismo, per chi ha amici e affetti in questo mondo, è un dolore vedere che una maggioranza di fanatici suprematisti e messianici è arrivata a determinare la rotta politica dello stato di Israele. Ma bisogna sapere guardare in faccia la realtà. Tutta la realtà, non i singoli episodi.

Non è accettabile la strage dei bambini drusi nel Golan. Non sono accettabili i sistematici pogrom anti-arabi in corso da mesi in Cisgiordania, mentre prosegue la rapina di terre palestinesi. Non è accettabile il prosieguo della carneficina a Gaza, dove centinaia di migliaia di abitanti vengono spostati sadicamente come mandrie per scoprire infine che anche le cosiddette “zone umanitarie” vengono pesantemente bombardate.

La parte più illuminata della società israeliana è consapevole del disastro che tutto ciò comporta. L’unica via d’uscita dalla crisi cancerosa, che si protrae da decenni in Medio Oriente, è voltare pagina costruendo la riconciliazione. Facendosi carico del dolore dell’Altro. Rendendosi entrambe le parti consapevoli della barbarie dell’attacco di Hamas il 7 ottobre e del brutale massacro operato a Gaza dalle forze israeliane. L’unica via d’uscita è la nascita – ora – di uno stato palestinese unito a Israele da un patto di cooperazione e di sicurezza.

La risoluzione arrogante della Knesset ha provocato anche un ulteriore effetto. Chiunque denunci – giustamente – fenomeni di antisemitismo d’ora in avanti non può sfuggire a una domanda finale: sei pro o contro lo stato di Palestina? Perché chi esige rispetto per la propria identità deve mostrare rispetto anche per l’Altro. Chi chiede sicurezza per sé deve offrirla anche all’altro. Chi rivendica un’esistenza pacifica deve garantirla all’altro.

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