Nei giorni scorsi, due denunce di stupro sono state poste all’attenzione della cronaca. Una riguarda due fotografi che lavoravano in una agenzia di moda, denunciati da cinque donne. Le violenze sarebbero state commesse tra l’aprile del 2023 e il febbraio scorso. Il comportamento degli aggressori è stato esecrabile: attiravano le modelle con la proposta di realizzare una campagna contro la violenza sessuale come volessero violare e nello stesso tempo prendere in giro, sfottere, la lotta politica contro il femminicidio.

Un altro caso riguarda la denuncia per violenze sessuali e lesioni aggravate da parte di un’allieva della scuola sottufficiali di Coppito (L’Aquila) che ha denunciato il suo istruttore, un capitano della Guardia di Finanza, mentre altri tre sottufficiali sarebbero stati indagati per favoreggiamento in maltrattamenti.

Gli inquirenti avrebbero acquisito anche una chat di gruppo dove il capitano avrebbe scambiato commenti di questo tenore con i colleghi: “è troppo bona la caccia è aperta per punirla”. Il sesso come punizione e caccia, la donna come preda, il dominio su un corpo femminile come elemento di eccitazione di gruppo: non manca nessuno degli elementi costitutivi della cultura dello stupro.

Un anno fa esplodeva lo scandalo “We are social” sulle chat sessiste e violente riservate a soli uomini che lavoravano per una agenzia pubblicitaria di Milano e prendevano di mira le colleghe fantasticando di stupri. Nulla di inaudito sotto il sole, l’immaginario è sempre lo stesso e alcuni lo fanno diventare realtà.

La violenza sessuale contro le donne continuerà ad essere perpetrata fino a quando gli uomini che aggrediscono sapranno di avere buone possibilità di restare impuniti e sarà in larga parte taciuta fino a quando la vittimizzazione secondaria resterà una possibile variabile. Le donne che hanno vissuto la traumatica esperienza della violenza sessuale, spesso attuata attraverso il ricatto o la manipolazione, scelgono spesso di non denunciare non solo perché tendono a rimuovere il trauma, ma perché conoscono il contesto sociale in cui vivono e si rifugiano nel silenzio. Ne apprendono la regola e la insegnano ad altre donne. Una dirigente scolastica dell’astigiano avrebbe risposto ad una studentessa che ha raccontato di aver subito molestie sessuali: “Ti ci devi abituare” .

Diffusa più di quanto possiamo immaginare, normalizzata, taciuta, la violenza sessuale nelle sue diverse manifestazioni colpisce in Italia il 21% delle donne tra i 16 e i 70 anni, si tratta di 4 milioni e 520 mila vittime. Una minoranza si rivolge all’autorità giudiziaria, svelare non è facile. Nella nostra civilissima cultura occidentale, presa a paradigma di eguaglianza tra uomini e donne, quanto pesa la parola di una donna rispetto a quella di un uomo? Quante possibilità ci sono che una donna non sia creduta quando svela di avere subito violenza sessuale?

Nel film She said (“Anche io” in italiano) la giornalista del New York Times, Megan Twohey, interpretata dall’attrice Carey Mulligan, porta avanti insieme alla collega, Jody Cantor, l’inchiesta sulle violenze sessuali commesse da Harvey Weinstein scoprendo che le vittime sono numerose e indotte al silenzio dalla paura delle conseguenze di una denuncia pubblica. Una di loro ad un certo punto esclama “potranno farcela solo se faranno un passo avanti tutte insieme” . La parola di una sola donna spesso non è sufficiente e il peso della sua testimonianza cambia in relazione allo status sociale dell’uomo denunciato per stupro.

Gerard Depardieu andrà a processo il prossimo ottobre dopo la denuncia di violenza sessuale da parte di due attrici. Le voci su comportamenti prevaricanti e misogini dell’attore, commessi sul set, si susseguono da decenni. Carine Durrieu-Diebolt, l’avvocata di una scenografa che ha sporto denuncia contro l’attore, ha dichiarato alla stampa francese che “ci sono sicuramente altre vittime. Almeno venti donne si sono fatte avanti per denunciare episodi che vanno dagli insulti sessisti alle molestie alle aggressioni sessuali”. Ma venti donne non bastano a fare la parola di un uomo.

Depardieu ha negato, incassando la solidarietà di decine di attrici e attori che si sono prodigati a scrivere una lettera in sua difesa, non tanto sulla base di una scarsa credibilità delle accuse che dovranno essere valutate in un processo, ma perché “è un grande artista”. A fianco dell’attore è sceso, mesi fa, anche il presidente della Repubblica, Emmanuel Macron, che si è detto un suo ammiratore e ha garantito che non gli avrebbe ritiraro la Legion d’Onore.

In Italia si è accodato, appena ne ha avuto occasione, anche il regista Sergio Rubini che in un’intervista rilasciata al Corriere della Sera il 21 luglio scorso ha dichiarato: “Credo nella sua innocenza. Gerard può mettere in imbarazzo. E’ volgare ma in senso mozartiano che diceva cacca-cacca”.

Alle attrici francesi che hanno denunciato restano accanto le avvocate e le attiviste dei diritti delle donne, ma nessuna di loro ha meritato il sostegno di un presidente della Repubblica. Nei confronti di Depardieu, come di produttori, attori, atleti, uomini in divisa, imprenditori e di tutti coloro che a vario titolo maneggiano scettri e salgono sul podio, si invoca più spesso il principio della presunzione di innocenza che non quando, a commettere uno stupro, sia un immigrato o un uomo in fondo alla scala sociale, secondo logiche classiste.

Uno che potere non ne ha, tantomeno sui corpi delle donne altrui e quindi si può stigmatizzare come stupratore senza esitazioni anche invocando castrazioni chimiche. Lo stupro in questo caso si vede in maniera distinta.

Mi chiedo, ma è una domanda retorica: perché non si hanno altrettanti scrupoli nei confronti delle donne che denunciano violenze e che sono ritenute presunte bugiarde fino a prova contraria? Quante affrontano i processi nei tribunali, sulla carta stampata e talvolta anche sui social col pesante sospetto di aver mentito?

Ogni giorno o quasi, leggiamo di violenze sessuali in cronaca ma sono solo la punta dell’iceberg di un fenomeno che una buona parte della società accetta e normalizza a favore all’arrogante senso di impunità degli uomini che commettono violenza.

@nadiesdaa

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