Uno degli ottavi di finale di boxe femminile delle Olimpiadi, nella categoria dei pesi welter, vedrà l’azzurra Angela Carini opporsi all’atleta algerina Imane Khelif. L’incontro è in programma il primo agosto, ma sta scatenando grandi polemiche. La pugile nordafricana, infatti, era stata esclusa insieme alla taiwanese Lin Yu-tin dai Mondiali di pugilato dell’anno scorso per aver fallito i test di verifica del sesso. Il 29 luglio però il Cio ha confermato che entrambe le atlete potranno partecipare alle Olimpiadi: secondo i loro parametri, sono idonee a gareggiare.

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Nel caso dei Mondiali, la competizione era sotto il controllo dell’International Boxing Association (Iba). Il presidente dell’Iba, Umar Kremlev, nello spiegare il motivo dell’esclusione, citò i risultati dell’analisi del Dna delle due pugili: entrambe le atlete squalificate “avevano cromosomi XY“. Per questo erano state estromesse dagli eventi sportivi, “in modo da garantire integrità e equità della competizione”.

Il presidente di Gaynet, Rosario Coco, ha spiegato che Khelif “non è una donna trans” ma una “persona intersex” che “si è sempre socializzata come donna e ha una storia sportiva nelle competizioni femminili”. Un caso, insomma, molto simile a quello di Caster Semenya. La pugile Brianda Tamara, dopo aver combattuto contro Imane Khelif lo scorso anno, aveva dichiarato: “I suoi colpi mi hanno fatto molto male. Non credo di essermi mai sentita così nei miei 13 anni da pugile, nemmeno combattendo contro sparring partner uomini”.

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