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Caso Yara Gambirasio, la pm Letizia Ruggeri accusata di frode e depistaggio: “Nelle 54 provette non c’è più niente, tenerle in frigo una spesa inutile”

Emergono dettagli sul caso di Yara Gambirasio, la 13enne uccisa a Brembate nel 2010

di F. Q.
Caso Yara Gambirasio, la pm Letizia Ruggeri accusata di frode e depistaggio: “Nelle 54 provette non c’è più niente, tenerle in frigo una spesa inutile”

“In quelle 54 provette non c’è più niente, non c’è più nulla che possa essere analizzato, perché il DNA di Bossetti che è stato utilizzato è stato tutto consumato nella fase delle indagini preliminari”. È questa la versione di Letizia Ruggeri, la pm che per prima è riuscita a dare un volto all’assassino di Yara Gambirasio. A quattordici anni di distanza, il caso è tornato di attualità. E non solo per l’uscita della serie Netflix Il caso Yara: Oltre ogni ragionevole dubbio, ma anche perché Adnkronos è entrato in possesso del verbale del 10 marzo 2021. Un verbale in cui a testimoniare davanti all’allora procuratore vicario di Venezia, Adelchi D’Ippolito, c’era proprio Letizia Ruggeri.

L’accusa che le è stata imputata riguarda proprio quelle 54 provette che la pm ha ordinato di spostare dal frigo dell’ospedale San Raffaele di Milano all’ufficio Corpi di reato del tribunale di Bergamo. E sarà il gip veneto Alberto Scaramuzza a stabilire la colpevolezza di Letizia Ruggeri sulle accuse per frode processuale e depistaggio. Ma i tempi della decisione sono ancora ignoti.

“La custodia io l’ho fatta curare con le massime cautele fino al passaggio in giudicato della sentenza”, poi dopo la Cassazione arriva la decisione di custodire le provette a “temperatura ambiente” perché “non ho ritenuto di onerare lo Stato di una spesa inutile”, rivela Ruggeri nella deposizione. Una difesa che poi ripeterà nelle dichiarazioni spontanee del 13 febbraio 2023 davanti alla procuratrice aggiunta di Venezia Paola Mossa.

Proprio su quelle tracce di DNA insiste la difesa di Massimo Bossetti, condannato all’ergastolo per l’omicidio della 13enne di Brembate. Ma ne resta solo “l’estratto più scadente” perché “il migliore Dna è stato utilizzato durante le indagini per addivenire a un profilo che fosse certo, che supportasse gli enormi costi che noi stavamo sostenendo”.

Quegli scarti, però, erano idonei a effettuare una comparazione alla presenza dei consulenti della difesa. Lo hanno rivelato i consulenti dell’accusa, il professore Giorgio Casari e il colonnello del Ris Giampietro Lago, sentiti in fase di indagini a Venezia. Ma la perizia non è mai stata concessa dai giudici in nessun grado.

“Qualcosa magari si tira fuori, ma non con questa certezza in questi termini con cui mi viene prospettato adesso, nel modo più assoluto. Io so che era un materiale assolutamente…cioè i rimasugli assolutamente scadente, inidoneo per qualsiasi altra comparazione e ripetizione di esame – dichiara Ruggeri -. Il DNA di Bossetti, così bello, così limpido, di cui abbiamo parlato per tutte queste udienze, così inequivocabile, da quei reperti non verrà mai più fuori. Questo è quello che loro hanno detto a me. Per cui rimango veramente sorpresa”.

Una traccia genetica considerata “lampante, chiarissima, assolutamente inequivocabile” dalla pm. La prova regina (insieme anche ad altre) che incastra Bossetti e su cui la Cassazione mette “una pietra tombale”. Dopo quattro anni di ricerca, il match tra lui e Ignoto 1 è arrivato, con un nome che è “piovuto dal cielo, se non avessimo avuto il Dna non ci saremmo mai arrivati”. E la traccia mista di vittima e carnefice, trovata sugli slip della giovane (quindi, in una posizione che lascia presumere il reato considerandola una zona di difficile accesso) è stata esaminata più volte, di cui in aula si è parlato “per 45 udienze, ne abbiamo discusso molto approfonditamente” e “la sentenza della Cassazione fa piazza pulita di tutti i dubbi“, conclude Letizia Ruggeri.

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