Molto rumore per nulla, verrebbe da commentare. L’ultima cena in variante drag della cerimonia d’apertura delle Olimpiadi di Parigi non era L’ultima cena. C’era da sospettarlo, considerando che Dioniso non rientra nell’iconografia tradizionale dei momenti finali della vita di Cristo. Ma se è per questo Malan ha visto nel toro al Trocadero un richiamo al vitello d’oro. Insomma, certi credenti si dicono offesi da ciò che evidentemente non sono in grado di comprendere e non riconoscono nemmeno ciò che dovrebbe rientrare o meno nella loro religione.

Stiamo anche parlando di un’utenza ipersensibile, quando si parla di questioni religiose, seppur a corrente alternata: pianto e stridore di denti, se si pensa che si stia dissacrando la fede accostandola (orrore!) a una drag queen, ma poi si assiste a un sostanziale laissez faire, e nessuna potenza di fuoco analoga sui social, di fronte a scandali finanziari o casi di abusi sessuali tra palazzi e parrocchie, per fare qualche esempio. La vita, d’altronde, è fatta di priorità.

Ma ciò che mi preme mettere in evidenza – nonostante siano passati diversi giorni dall’apertura olimpica – non sono le contraddizioni interne al variegato mondo dei credenti o certa sensibilità a fasi alterne, quanto un cortocircuito in una narrazione che andrebbe affrontata, è il caso di dirlo, nel modo più laico possibile.

C’è, innanzitutto, un problema di civiltà. A prescindere da quale sia stato il motivo ispiratore della performance che ha scandalizzato i benpensanti, c’è un dato che forse sfugge ai più: in un paese a democrazia avanzata si può prendere spunto da un’opera d’arte – qualsiasi essa sia – e la si può riprodurre, ci si può lasciar ispirare, la si può dissacrare, la si può reinterpretare o addirittura criticare. Che il soggetto rappresentato sia religioso o meno, è un elemento secondario. Rientriamo, infatti, nell’ambito della libertà di espressione e ciò fa la differenza tra un sistema totalitario e una società liberale.

C’è poi un discorso di rispetto dei diritti umani e delle minoranze. Andrebbe spiegata la ragione per cui accostare la vita di Cristo alla presenza di una o più drag queen, all’interno di una performance, sporcherebbe la fede. La domanda, ovviamente, è retorica. Il concetto di “drag” riporta a quello di omosessualità. E quindi a uno dei mali assoluti, per l’etica e l’antropologia cristiane (o quantomeno di certo cristianesimo). Non la guerra, non i morti in mare, non la distruzione del nostro ambiente. Le drag queen.

Tutto questo mostra il problema di certi fedeli con le diversità. Ed è un problema che, nel caso specifico, investe chi dice di appartenere alla chiesa cattolica (e ai cristiani, più in generale). Il baricentro dello scandalo, dunque, andrebbe spostato in quella che sembra una componente identitaria forte, forse fondante, dell’universo dei “valori cristiani” ed è l’omofobia. Dovrebbe essere questo a far scandalo e a indignare.

Certo, lo smarrimento è comprensibile. Si comprende il disorientamento del maschio eterosessuale basic che, di fronte a un uomo travestito “da donna”, vede sgretolare tutte le sue certezze rispetto alla sua identità, evidentemente non così solida come vorrebbe (farci) credere. Lo stesso discorso si potrebbe estendere a coloro che fanno della fede il perno del proprio esistere su questo pianeta, anche perché “credere e basta” è molto più semplice che affrontare la verità complessa di tutte le identità possibili che irrompono sulla scena pubblica. Così come si capiscono anche le ragioni di chi ha armato la polemica, cavalcandola, per difendere posizioni di potere o ottenerne vantaggi elettorali. La dissacrazione è pericolosa, è evidente, perché ridicolizza dispositivi di potere che si pensava di non poter mettere in discussione. E invece.

E invece sta emergendo un nuovo mondo, piaccia o meno, dove le identità tenute sotto il tappeto, per secoli e secoli, stanno finalmente squarciando le trame dell’invisibilità. Donne, persone migranti e disabili, comunità queer, soggetti “fuori norma” hanno deciso di prendersi la scena e lo stanno facendo giorno dopo giorno. Ciò non avviene in modo indolore e senza conseguenze. Il vecchio sistema patriarcale (e misogino, razzista e omofobo) reagisce ovviamente. Non è un caso che le destre di governo siano diventate ormai solo estreme e radicali. Ma io credo che siamo di fronte a un processo di lungo periodo che porterà a cambiamenti radicali.

Certo, si faranno molti errori. E certo, i colpi di coda di quel sistema continueranno a far male: un dinosauro che ti colpisce, per quanto in via d’estinzione, è pur sempre un animale pericoloso. E con un peso. Ma come diceva un vecchio adagio: “Ah! ça ira, ça ira, ça ira”. Le rivoluzioni non si fanno in un giorno. Ma cominciano sempre, dopo presupposti imprescindibili, con momenti di grande clamore. E si consolidano dopo sedimentazioni e ulteriori avanzamenti col passare del tempo. Consapevolezza che, evidentemente, fa paura.

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