Siamo a pagina 10 dell’edizione cartacea de La Repubblica di domenica 28 luglio. Se vogliamo capire cosa significhi che il potere mediatico sta svolgendo il ruolo di “scorta mediatica” del genocidio israeliano in Palestina, possiamo partire da qui.
“Missile di Hezbollah fa strage di bambini in un campo di calcio. Gaza, bombe sulla scuola”. Nel titolo ci sono due storie diverse. Per la prima abbiamo tutto quello che può servire al lettore per inquadrare ciò che è successo. Il soggetto – “Hezbollah” – che attivamente svolge un’azione – “fa strage” – e le vittime – “bambini”. C’è anche il “dove”: “in un campo di calcio”. Un titolo che, oltre a descrivere, commuove. La scelta dei termini costruisce in chi legge empatia verso i “bambini”, vittime di una strage di Hezbollah.
Nel corpo dell’articolo di Paolo Brera ci sono i numeri: dodici morti, la maggior parte “tra dieci e vent’anni”, e una trentina di feriti. La fonte della notizia non viene citata. È ovviamente un’autorità israeliana e tanto basta. Agli israeliani i nostri media credono sulla parola, non se ne discute mai l’attendibilità. Ai palestinesi, come vedremo, non riservano lo stesso trattamento.
La seconda storia non ha lo stesso spazio. Né si utilizzano gli stessi criteri. Si parla del “dove”: una “scuola”. Ma mancano gli elementi più importanti e che invece sono stati usati per descrivere l’altra storia: manca il soggetto, manca il verbo, mancano le vittime. “Bombe sulla scuola”: chi le ha sganciate? Sono piovute dal cielo in virtù di una maledizione divina? Chi hanno colpito queste bombe? Bambini, donne, adulti, anziani? Il titolo non ce lo dice.
Nell’articolo qualche informazione in più: “più di trenta morti tra cui donne e bambini”. Tre volte i numeri della prima storia. E ci sono vittime “innocenti” per antonomasia: i bambini. Come nel primo caso. Solo che i bambini palestinesi evidentemente non meritano lo spazio di un titolo.
Poi il giornalista aggiunge: “secondo le autorità mediche palestinesi controllate da Hamas”. È quel “controllate da Hamas” a fare la differenza. Per gli israeliani avete mai letto “controllate da Netanyahu”? Si mettono in dubbio i numeri palestinesi, malgrado più fonti internazionali abbiano sempre giudicato attendibili i numeri riportati dalle autorità di Gaza. Repubblica si attiene ai desiderata di Tel Aviv e cerca di seminare il dubbio.
Questo titolo non è un caso. È da ormai quasi dieci mesi che il potere mediatico agisce sempre allo stesso modo. Giustifica il genocidio israeliano a Gaza. Fa sparire i palestinesi quando vengono massacrati dagli israeliani. Fa sparire gli israeliani quando massacrano i palestinesi.
Le guerre, da che mondo è mondo, sono anche guerre mediatiche. E un genocidio non fa eccezione. Guerre del racconto e per il racconto.
Il potere mediatico è un attore chiave nella battaglia delle idee. Tutt’altro che neutrale e oggettivo. Imparare a riconoscerne i meccanismi è un primo passo di “autodifesa”. In questi mesi si sta allargando la sfiducia nei confronti di stampa e tv proprio per come descrivono ciò che accade in Palestina. Sui social si fanno spazio voci e posizioni diverse, sempre però a rischio di essere censurate e messe a tacere.
Costruire un potere mediatico che sia al servizio dei nostri popoli e non del potere economico e politico è, invece, un compito strategico di medio-lungo periodo che però dovremmo cominciare a porci fin da subito. Perché già siamo in ritardo.
Ps: Per chiudere in bellezza, Paolo Brera cita il presidente israeliano Isaac Herzog, che su X ha minacciato: “Il mondo non può continuare a sedere in silenzio di fronte agli attacchi terroristici di Nasrallah, per conto dell’impero del male in Iran. Israele difenderà con fermezza cittadini e sovranità”.
Di che sovranità parla Herzog, considerato che le Alture del Golan sono state illegalmente occupate da Israele nel 1967 – quando espulse circa mezzo milione di siriani, ancora in attesa del diritto al ritorno – e successivamente illegalmente annesse nel 1981? L’Onu stessa, con la risoluzione 497, definisce l’annessione israeliana come “nulla e priva di ogni rilevanza giuridica internazionale”.
Herzog è proprio quell’Herzog cui sia la “cattiva” Meloni che il “santo” Mattarella hanno stretto la mano pochi giorni fa a favore di fotografi e telecamere, sorridendo allegramente mentre a Gaza continuava e continua il genocidio.