Un podcast sull’attivismo. Che racconti le sue diverse forme e cause, prima tra tutte quella del cambiamento climatico. Si chiama “The Dreamers” e lo ha pensato e prodotto “The Good Lobby”, un’associazione fondata a Bruxelles prima della pandemia e che si propone di rendere più aperte le decisioni pubbliche, democratizzando l’accesso al potere, anche attraverso campagne di advocacy per chiedere leggi sulla regolamentazione delle lobby, sui conflitti di interesse, sui pieni diritti politici a tutta la popolazione.

Il podcast – ascoltabile su Spotify, Spreakers e Apple Podcast – è stato finanziato dall’Ambasciata americana e coprodotto insieme a Period Think Tank e Radio Bullets. “Abbiamo pensato a un format che fosse diverso dal solito: ogni puntata infatti parte da una causa specifica e l’affronta attraverso un esempio di campagna, che viene presentata enfatizzando le tecniche, tattiche e gli strumenti utilizzati per avere un risultato”, spiega Martina Turola, responsabile comunicazione di The Good Lobby. “Ma c’è anche un focus su che cosa può andare male e cosa di fatto va male, visto che il cambiamento sociale è complesso e di fronte a contesti instabili politicamente bisogna mettere in conto anche gli imprevisti”.

Analizzare le ricadute dell’attivismo

Il podcast si chiama “The Dreamers” perché si è voluto enfatizzare la dimensione di sogno, di immaginazione di quello che può essere il futuro. “A volte i sogni si realizzano a volte no, così come il cambiamento sociale”, continua Martina Turola, “ma è comunque importante evocare questa dimensione di possibilità che comunque l’attivismo ha in sé come caratteristica fondativa”.

La prima puntata riguarda il cambiamento climatico. Gli autori hanno pensato fosse interessante ragionare su come si è evoluta la disobbedienza civile nel corso del tempo e anche l’occupazione degli spazi, le proteste. “Per questo abbiamo parlato con Greenpeace e con le organizzazioni storiche dell’attivismo e della disobbedienza civile, fino ad arrivare ad azioni radicali di collettivi come Ultima Generazione”. Gli autori si sono focalizzati anche sugli effetti della protesta, intervistando una ricercatrice che si occupa della psicologia del cambiamento climatico, Anna Castiglione. Nella stessa puntata si accenna alla recrudescenza delle normative contro gli attivisti in Italia, anche se il podcast si focalizza anche sull’Europa.

Podcast, uno strumento che arriva ai giovani

La seconda puntata è dedicata invece alla parità di genere. La campagna analizzata si chiama “Intimità violata”, ed è focalizzata sul revenge porn, anche se il titolo della puntata è, provocatoriamente, “Non chiamatelo revenge porn”. “Un conto è l’espressione della propria sessualità attraverso la registrazione consensuale di materiale sessualmente esplicito –prosegue Martina Turola –, un conto quando questi contenuti vengono diffusi senza consenso, molto spesso per vendetta e ricatto nei confronti di una donna su cui si vuole per esercitare un controllo e un ricatto. Nel podcast intervistiamo la promotrice della campagna, Silvia Semenzin, così come persone che hanno subito violenze di genere on line”.

Ma il podcast sulla violenza di genere è anche l’occasione per spiegare perché lo strumento della petizione è importante ai fini di una campagna di advocacy e perché può esserlo anche la collaborazione con influencer, sia pur con luci e ombre e rischi di crisi reputazionali.

Perché, in definitiva, un podcast per parlare di attivismo? “Volevamo parlare di questi temi con le generazioni più giovani. Pensiamo che sia uno strumento che consenta di approfondire un tema in modo ricco e sfaccettato, arrivando a una platea più ampia di quanto non faccia un articolo scritto. E comunque i podcast saranno anche un materiale a supporto dei nostri percorsi formativi”.

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