Sta scatenando un putiferio l’incontro di pugilato tra l’algerina Imane Khelif e l’azzurra Angela Carini agli ottavi di finale delle Olimpiadi di Parigi, nella categoria dei pesi welter: la pugile italiana si è ritirata dopo pochi secondi. E la sua scelta ha scatenato ulteriormente il dibattito politico, ma ha anche spaccato l’opinione pubblica sui social. Già da giorni la destra italiana è in fermento, sono intervenuti perfino il Coni e il ministro dello Sport Andrea Abodi. Il motivo? Un anno fa la pugile nordafricana era stata esclusa dai Mondiali di boxe per aver fallito i test di verifica del sesso. Secondo l’International Boxing Association (Iba), i risultati dell’analisi del Dna effettuati dall’International Boxing Association (Iba) avevano portato alla squalifica per la presenza di cromosomi XY, quindi maschili. Khelif però è stata ammessa alle Olimpiadi di Parigi 2024, come già successo tre anni fa a Tokyo, perché i suoi livelli ormonali rispettano i parametri previsti dal Comitato olimpico internazionale.

Trans? No, “intersex”
Queste sono le uniche certezze che ad oggi abbiamo rispetto al caso di Imane Khelif. I politici di destra, italiani e non solo, hanno parlato di “trans” che combatte alle Olimpiadi. La pugile algerina però non si è mai dichiarata in transizione e dai documenti anagrafici presentati al Cio non risulta alcun cambio di identità di genere. Quindi, a meno di un imbroglio, non si può parlare di atleta transgender. Il presidente di Gaynet, Rosario Coco, ha spiegato che Khelif “non è una donna trans” ma una “persona intersex” che “si è sempre socializzata come donna e ha una storia sportiva nelle competizioni femminili”. Un caso, insomma, molto simile a quello di Caster Semenya.

Come il caso Semenya
Di che cosa stiamo parlando? Imane Khelif è iperandrogina. L’iperandrogenismo in una donna indica una eccessiva produzione di ormoni maschili (androgeni), in particolare di testosterone, da parte delle ghiandole endocrine, surreni e ovaie. Questa condizione può avere molteplici cause. Più in generale, si parla in questi casi di “disordini della differenziazione Sessuale” (DDS). Il caso di Semenya ha dimostrato come sia molto complesso regolare la partecipazione di atlete con DDS alle gare femminili. La Federazione di atletica dal 2011 in poi decise di fissare dei parametri che normassero la presenza di atlete iperandrogine, imponendo loro di abbassare il livello di testosterone sotto una certa soglia tramite cure ormonali.

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I suoi risultati: fuori ai quarti a Tokyo
Sempre la politica ha accusato gli organizzatori di Parigi di consentire “a un uomo di combattere contro una donna“. Così è stato descritto da diversi esponenti della destra italiana l’incontro tra Khelif e Carini. Secondo la Federazione internazionale di boxe, che così decise un anno fa, la presenza della pugile algerina non avrebbe garantito “integrità ed equità della competizione”. Secondo i parametri olimpici, invece, è una donna e deve gareggiare contro le donne. Che è anche la tesi del Comitato olimpico algerino. Da un punto di vista dei risultati, però, finora Imane Khelif non ha dimostrato quello strapotere che dovrebbe avere un uomo che combatte contro una donna. Su 14 incontri, ne ha vinti 9 e persi 5. Alle Olimpiadi di Tokyo vinse un solo incontro e fu poi nettamente eliminata ai quarti dall’irlandese Kellie Anne Harrington, poi medaglia d’oro. Ai Mondiali 2022, dai quali non fu esclusa, Khelif vinse una medaglia d’argento, perdendo contro un’altra irlandese, Amy Broadhurst. Fino ad allora la sua presenza sul ring del pugilato femminile non aveva destato alcun scalpore.

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