di Marco Pozzi

Mi trovo a Parigi, anch’io alle Olimpiadi.

Il Villaggio per gli atleti appare coi suoi edifici squadrati, come grandi arnie, anche nel colore vagamente miele. Qui ho parlato con tanti atleti che hanno partecipato a scorse edizioni e che mi hanno raccontato parecchi aneddoti.

Mi dicono spesso che nessuna persona normale si sottoporrebbe a tali sacrifici per arrivare a una Olimpiade. In una certa disciplina chi va ai Giochi conduce una vita abbastanza simile ai suoi avversari, come immersione totalizzante, ma solo uno vince; fra il 15esimo e il primo non c’è tanta differenza in fatica e sacrifici (anzi, spesso il 15esimo, essendo meno vincente, ha meno accesso alle strutture e quindi deve sobbarcarsi una fatica maggiore), ma chi vince è almeno ricordato; mentre il 15esimo produce il medesimo sforzo ma non è campioneolimpico, è semplicemente un buon atleta, che deve però rinunciare a una vita ordinaria, a una famiglia, alle soddisfazioni che i coetanei vivono, nel lavoro e nella vita privata… e magari si becca pure gli sfottò di chi sta intorno, costretto a fare un secondo lavoro per campare, siccome molte discipline non possono contare sui guadagni milionari degli sport più popolari.

Ciascuno vive la gara a modo suo. Parte dal Villaggio con la sua equipe verso il luogo che il programma prevede (perciò al Villaggio c’è un perenne viavai di persone, e si ascolta sovente chiedersi, quasi sempre in inglese, “Quando gareggi tu?”, “E tu?”, “In bocca al lupo”, “Ci becchiamo dopo”, come accade negli ostelli la mattina a colazione mentre si pianifica la giornata in città). Dopo la gara tutti tornano al Villaggio, dove abbondano le occasioni per condividere la sconfitta o l’impresa, scambiandosi opinioni e pensieri, analisi tecniche e sentimenti, rammarichi e speranze, entusiasmi e paure.

C’è sempre una festa di chi ha già gareggiato, di federazioni nazionali diverse, donne e uomini pronti a festeggiare, ballare e magari ubriacarsi per scaricare la tensione. Ci sono feste nelle stanze, ci si incontra, ci si scambia i numeri, ci si messaggia, ci si conosce, ci si confida, si fa l’amore, fra atleti dello stesso sport o nazionalità diverse, oppure nella stessa squadra, oltre che coi volontari e il personale dello staff, o i fra i membri delle istituzioni, o, alcuni confessano, anche con politici arrivati in una veloce visita di rappresentanza. I distributori di preservativi non mancano e, a quel che dicono, le quantità richieste sono notevolissime: a Barcellona 1992, col timore dell’Aids, ne sono stati distribuiti fra i 50 e gli 80.000 a 9.500 atleti, ad Atlanta 1996 circa 15.000 preservativi a 10.500 atleti; ad Atene 2004 i preservativi sono circa 130.000, che fanno 7 per ogni atleta. La tensione sessuale è naturalissima fra ragazzi aitanti e allenati, pieni di forza, ormoni e voglia di godersi la vita: “Ci si sente i padroni del mondo, che quasi a volte sembra secondario esser lì per fare sport anziché divertirsi a basta… non siamo tutti competitivi alla stessa maniera”.

“Dove ci vediamo stasera?” si ascolta in giro; “alla Dutch House”, per esempio, e c’è chi arriva dai campi o dalla piscina con una medaglia al collo, su di giri al massimo, che trasmette ai presenti un’euforia e una voglia di festeggiare e godersi la vita davvero contagiosa! La gente s’immagina il Villaggio come un monastero, con atleti dentro le cellette a meditare, senza saper invece che è molto più simile a un Club festaiolo. Non è solo un quartiere per dormire, quanto piuttosto ospita un incessante festival con spettacoli, concerti, musica, ballerini… è un festival olimpico!

C’è una regola intoccabile però: non disturbare un atleta ancora in gara. Ci si diverte ma non si danneggia un collega; il rispetto per la concentrazione è sacro, poiché valore comune per ognuno dei presenti qui. Se invece l’atleta ha concluso la sua missione sportiva, allora, dopo mesi di costrizioni, allenamenti fanatici e ricerca delle perfezione, scatta la piena libertà, e ci si può finalmente lasciar andare senza sapere neppur con chi si sta facendo festa, tanto che è solito ascoltare la reciproca domanda: “che sport fai?”, “tu hai vinto una medaglia?”, “da dove vieni?”, come in qualunque altra festa al mondo. E come dovunque, “dove andiamo domani?”, è la domanda con cui ci si lascia a fine festa…

Così mi sono immaginato la vita nel Villaggio Olimpico dopo aver riletto The Secret Olympian: The Inside Story of the Olympic, in cui un atleta anonimo racconta la sua esperienza ad Atene 2004.

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