di Pietro Francesco Maria De Sarlo
Ad aprile 2024 Vito Bardi venne confermato Governatore della Regione Basilicata. A rendere possibile il bis, oltre al supporto dei partiti della precedente tornata elettorale del 2019 ossia FdI, Lega e FI, si sono aggiunti Italia Viva, che ha eletto come consigliere Mario Polese, e Azione, che nella declinazione lucana si chiama Marcello Pittella, attuale presidente del consiglio regionale, e Nicola Morea, consigliere.
La maggioranza può quindi contare su 13 consiglieri: il governatore Bardi, i due di Azione, Polese di Italia Viva, due per la Lega Tataranno e Fanelli, quattro per FdI, tre di Forza Italia.
Ora accade che le due consigliere del M5S, Araneo e Verri, insieme alla minoranza che conta otto consiglieri, presentino una mozione che impegna la giunta a chiedere il referendum abrogativo della legge Calderoli, meglio nota come spacca-Italia, e di presentare ricorso alla Corte Costituzionale.
Stante le dichiarazioni dei leader nazionali la mozione, che sarà votata il 2 agosto p.v., dovrebbe essere approvata e fare della Basilicata la prima regione di destra a chiedere il referendum abrogativo della Autonomia Differenziata. Infatti sommando ai voti della minoranza i due di Azione e il voto di IV si arriva a 11 consiglieri su 21. C’è da finire sulle prime pagine di tutti i quotidiani nazionali; ma a tenere il boccino sono i soliti centristi della politica ‘seria’ e le cose non sono così scontate.
Pittella e Morea difficilmente potranno esimersi dal votare a favore della mozione. Infatti, a parte le incerte direttive di Calenda, il primo, quando Bardi nella scorsa consigliatura appoggiò nella conferenza Stato-Regione la riforma Calderoli, dichiarò che si trattava di “…un atto di puro egoismo personale e politico che nulla ha a che vedere con il destino della Basilicata e con le prospettive di benessere dei suoi cittadini” e il secondo, in un appassionato intervento nell’ultimo consiglio del 17 luglio u.s. dichiarò con lucidità tutte le ragioni contro questa legge.
Vero è che Pittella e Calenda ci hanno abituato a tutto, ma si spera che anche per loro ci sia un limite.
Il ‘ma’ va quindi cercato da un’altra parte. Mi riferisco a Mario Polese. Ex coordinatore delle contestatissime primarie che vide vincere Marcello Pittella nel 2013 e suo pupillo, poi consigliere regionale del Pd, di cui nel 2017 viene eletto segretario regionale. Ancora in consiglio regionale nel 2019 passa poi con Italia Viva e di questo partito è ora rappresentante in consiglio. Dovrebbe essere un voto certo, viste le esternazioni di Renzi ma, come direbbe Bersani, “l’acqua è questa qua”. E quindi sempre nel consiglio del 17 luglio scorso Polese, che è anche avvocato e pubblicista, si è esibito in un ‘contorcinato’ numero da azzeccagarbugli esprimendo un tormento dell’anima tra le giuste ragioni di chi è contro l’Autonomia e le ragioni espresse nello strampalato discorso di Tataranno, consigliere leghista.
Caro Polese, lo saprà anche lei che l’astensione non è una astensione ma un voto contrario e che qua ‘nisciuno è fesso’? Tra un assessorato già in tasca e il credito con il perennemente traballante Bardi e il fare gli interessi del proprio territorio, dove farà pendere l’ago della bilancia? Vedremo. Se si asterrà resta da capire cosa diranno gli ‘abbocadores’ dei suoi elettori. Io qualcuno lo conosco: glielo chiederò.
Nel mentre i veneti baccagliano con Occhiuto (“ma sei con la Lega o con il M5S?”), accusano il senatore veneto dem Martella di tradimento per la sua firma al referendum e per il tramite di Salvini si stanno facendo pagare il flop della Pedemontana dall’odiato Pantalone con la riforma delle concessioni delle autostrade, e dopo che Pantalone ha pagato anche le sventure di Antonveneta e delle Banche Venete. Insomma in Veneto i politici difendono gli interessi del Veneto; Tataranno, Fanelli, FdI e Fi anche. E Polese? Sorprese da Fi?