Le nuove generazioni corrono un rischio maggiore di contrarre quasi una ventina di tumori diversi rispetto alle generazioni che le hanno precedute. Secondo uno studio condotto su decine di milioni di diagnosi, i cosiddetti Millennial, cioè i nati tra il 1986 e il 1995, e la Generazione X, ovvero i nati tra il 1965 e il 1985, hanno maggiori probabilità di sviluppare 17 forme di cancro rispetto alla generazione dei Baby Boomer del Secondo Dopoguerra. Tra i 17 tipi di tumore individuati nello studio pubblicato sulla rivista The Lancet Public Health, rientrano alcune delle forme più letali, come il cancro al colon, al pancreas e al fegato. Anche se gli scienziati non sono del tutto certi di cosa si celi dietro questo aumento, ritengono che tra i fattori responsabili almeno in parte ci siano l’obesità e il consumo eccessivo di alcolici.
Di certo c’è che l’aumento dei casi di tumore tra le nuove generazioni minaccia di invertire decenni di progressi nella lotta alla malattia. Si prevede anche che le diagnosi si raddoppieranno quasi dal 2020 al 2050 e ci sono segnali che i tassi di mortalità stanno iniziando a stabilizzarsi. Gli esperti affermano inoltre che il crescente peso del cancro impedirà a una moltitudine di persone di contribuire all’economia statunitense, provocando un aumento della disoccupazione, un rallentamento della crescita e un aumento vertiginoso dei costi sanitari. Questo potrebbe innescare un circolo vizioso in cui una salute precaria causa difficoltà economiche, contribuendo a un ulteriore peggioramento della salute dovuto alla mancanza di accesso alle cure.
“L’aumento dei tassi di cancro nella fascia di popolazione più giovane indica cambiamenti generazionali nel rischio di sviluppare il tumore e spesso funge da indicatore precoce del futuro onere del cancro nel Paese”, commenta Ahmedin Jemal, autore principale dello studio e vicepresidente senior del Dipartimento di scienze della sorveglianza e dell’equità sanitaria dell’American Cancer Society. “Senza interventi efficaci a livello di popolazione, e poiché il rischio più elevato nelle generazioni più giovani si trasmette con l’invecchiamento degli individui, in futuro – continua – potrebbe verificarsi un aumento generale dell’incidenza del cancro, arrestando o invertendo decenni di progressi nella lotta contro la malattia. I dati evidenziano la necessità critica di identificare e affrontare i fattori di rischio sottostanti nelle popolazioni della Generazione X e dei Millennial per aggiornare le strategie di prevenzione”.
I ricercatori hanno analizzato i dati di oltre 23 milioni di pazienti a cui sono state diagnosticate 34 forme di cancro in un periodo di 20 anni. I pazienti avevano un’età compresa tra i 25 e gli 84 anni e sono stati suddivisi in coorti in base al loro anno di nascita, dal 1920 al 1990. Ebbene, dai risultati è emerso che la Generazione X ei Millennial avevano fino a tre volte più probabilità di sviluppare diverse forme di cancro rispetto ai boomer. Tra queste rientravano il cancro colorettale, che è in rapido aumento negli adulti sotto i 50 anni. Mentre infatti i tassi di cancro sono diminuiti tra gli anziani, l’incidenza nei pazienti più giovani è aumentata per nove tipi di cancro, tra cui il tumore al seno, all’utero, al colon-retto, alle ovaie e ai testicoli. Sebbene parte dell’aumento potrebbe essere dovuto anche a un maggior numero di screening e ai progressi diagnostici, il nuovo studio dimostra che anche l’aumento di fattori legati allo stile di vita, come l’obesità e il consumo di alcol, potrebbe essere in parte responsabile.
I ricercatori sottolineano che tra gli adulti di età compresa tra i 25 e 49 anni, sono stati osservati “aumenti più rapidi nei tassi di incidenza” dei tumori del pancreas, dell’intestino tenue, dei reni e delle pelvi, tutti collegati all’obesità e all’alcol. La tassi di mortalità sono aumentati anche tra i pazienti più giovani per tumori al fegato, all’utero, alla cistifellea, ai testicoli e al colon-retto. “Questi risultati si aggiungono alle crescenti prove dell’aumento del rischio di cancro nelle generazioni successive ai Baby Boomer, ampliando i precedenti sul cancro del colon-retto a esordio precoce e su alcuni tumori associati all’obesità, per comprendere una gamma più ampia di tipi di cancro”, commenta Hyuna Sung, autrice principale dello studio e responsabile scientifico senior della sorveglianza e dell’equità sanitaria presso l’American Cancer Society.
Lo studio
Valentina Arcovio
Scienza
“Millennial e Generazione X corrono un rischio maggiore di contrarre 17 tumori diversi”, lo studio su Lancet
Le nuove generazioni corrono un rischio maggiore di contrarre quasi una ventina di tumori diversi rispetto alle generazioni che le hanno precedute. Secondo uno studio condotto su decine di milioni di diagnosi, i cosiddetti Millennial, cioè i nati tra il 1986 e il 1995, e la Generazione X, ovvero i nati tra il 1965 e il 1985, hanno maggiori probabilità di sviluppare 17 forme di cancro rispetto alla generazione dei Baby Boomer del Secondo Dopoguerra. Tra i 17 tipi di tumore individuati nello studio pubblicato sulla rivista The Lancet Public Health, rientrano alcune delle forme più letali, come il cancro al colon, al pancreas e al fegato. Anche se gli scienziati non sono del tutto certi di cosa si celi dietro questo aumento, ritengono che tra i fattori responsabili almeno in parte ci siano l’obesità e il consumo eccessivo di alcolici.
Di certo c’è che l’aumento dei casi di tumore tra le nuove generazioni minaccia di invertire decenni di progressi nella lotta alla malattia. Si prevede anche che le diagnosi si raddoppieranno quasi dal 2020 al 2050 e ci sono segnali che i tassi di mortalità stanno iniziando a stabilizzarsi. Gli esperti affermano inoltre che il crescente peso del cancro impedirà a una moltitudine di persone di contribuire all’economia statunitense, provocando un aumento della disoccupazione, un rallentamento della crescita e un aumento vertiginoso dei costi sanitari. Questo potrebbe innescare un circolo vizioso in cui una salute precaria causa difficoltà economiche, contribuendo a un ulteriore peggioramento della salute dovuto alla mancanza di accesso alle cure.
“L’aumento dei tassi di cancro nella fascia di popolazione più giovane indica cambiamenti generazionali nel rischio di sviluppare il tumore e spesso funge da indicatore precoce del futuro onere del cancro nel Paese”, commenta Ahmedin Jemal, autore principale dello studio e vicepresidente senior del Dipartimento di scienze della sorveglianza e dell’equità sanitaria dell’American Cancer Society. “Senza interventi efficaci a livello di popolazione, e poiché il rischio più elevato nelle generazioni più giovani si trasmette con l’invecchiamento degli individui, in futuro – continua – potrebbe verificarsi un aumento generale dell’incidenza del cancro, arrestando o invertendo decenni di progressi nella lotta contro la malattia. I dati evidenziano la necessità critica di identificare e affrontare i fattori di rischio sottostanti nelle popolazioni della Generazione X e dei Millennial per aggiornare le strategie di prevenzione”.
I ricercatori hanno analizzato i dati di oltre 23 milioni di pazienti a cui sono state diagnosticate 34 forme di cancro in un periodo di 20 anni. I pazienti avevano un’età compresa tra i 25 e gli 84 anni e sono stati suddivisi in coorti in base al loro anno di nascita, dal 1920 al 1990. Ebbene, dai risultati è emerso che la Generazione X ei Millennial avevano fino a tre volte più probabilità di sviluppare diverse forme di cancro rispetto ai boomer. Tra queste rientravano il cancro colorettale, che è in rapido aumento negli adulti sotto i 50 anni. Mentre infatti i tassi di cancro sono diminuiti tra gli anziani, l’incidenza nei pazienti più giovani è aumentata per nove tipi di cancro, tra cui il tumore al seno, all’utero, al colon-retto, alle ovaie e ai testicoli. Sebbene parte dell’aumento potrebbe essere dovuto anche a un maggior numero di screening e ai progressi diagnostici, il nuovo studio dimostra che anche l’aumento di fattori legati allo stile di vita, come l’obesità e il consumo di alcol, potrebbe essere in parte responsabile.
I ricercatori sottolineano che tra gli adulti di età compresa tra i 25 e 49 anni, sono stati osservati “aumenti più rapidi nei tassi di incidenza” dei tumori del pancreas, dell’intestino tenue, dei reni e delle pelvi, tutti collegati all’obesità e all’alcol. La tassi di mortalità sono aumentati anche tra i pazienti più giovani per tumori al fegato, all’utero, alla cistifellea, ai testicoli e al colon-retto. “Questi risultati si aggiungono alle crescenti prove dell’aumento del rischio di cancro nelle generazioni successive ai Baby Boomer, ampliando i precedenti sul cancro del colon-retto a esordio precoce e su alcuni tumori associati all’obesità, per comprendere una gamma più ampia di tipi di cancro”, commenta Hyuna Sung, autrice principale dello studio e responsabile scientifico senior della sorveglianza e dell’equità sanitaria presso l’American Cancer Society.
Lo studio
Valentina Arcovio
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Giustizia & Impunità
Pioltello, una sola condanna per il disastro ferroviario. 8 assoluzioni, anche l’ex ad di Rfi: “Non sapevano del giunto ammalorato”
Politica
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Mondo
Ucraina, è corsa alle terre rare: Putin offre a Trump un accordo su quelle del Donbass. Onu, Usa e Russia votano insieme contro Kiev
Roma, 25 feb. (Adnkronos Salute) - "Il paziente oncologico ha un'immunodeficienza che è legata a molti fattori. Noi pensiamo ai trattamenti chemioteratici, ma anche avere un grande intervento chirurgico genera una condizione di immunodeficienza. E' la condizione di per sé, con tutte le terapie, che espone a questo tipo di infezioni". Così Sandro Pignata, direttore dell'Oncologia medica presso l'Irccs Istituto nazionale tumori Fondazione G. Pascale di Napoli e responsabile scientifico della Rete oncologica campana (Roc), nel suo intervento all'incontro organizzato oggi a Roma da Gsk in occasione della Settimana della prevenzione dal Fuoco di Sant'Antonio (24 febbraio-2 marzo). Lo specialista ricorda inoltre che "non dobbiamo mai dimenticare che il nostro Paese invecchia ogni anno e la popolazione diventa più anziana: molti dei nostri pazienti sono proprio in quella fascia di età più esposta al rischio di infezioni da Herpes zoster".
A causa di "una patologia che è prevenibile", è assurdo che spesso "questi pazienti durante il loro corso di cura" siano costretti "a interrompere o ritardare le somministrazioni - osserva Pignata - Ovviamente l'intensità delle somministrazioni delle cure è un fattore importante, la capacità di portare avanti nei tempi tutte le radioterapie" e i trattamenti "è un fattore importante nella definizione degli outcome", cioè i risultati, in termini di salute. "Forse, oltre che nella popolazione, anche nei medici la consapevolezza" sull'importanza della vaccinazione "deve essere ancora raggiunta pienamente - sottolinea - Un paziente oncologico ha tanti bisogni. Spesso l'oncologo fa una scelta di priorità su cosa affrontare prima. Per questa ragione suggeriamo di consigliare a percorso vaccinale, soprattutto all'inizio della malattia, quando il numero dei bisogni è più contenuto".
Per quanto riguarda gli aspetti organizzativi, "e qui parlo non da oncologo, ma da coordinatore di una rete, almeno della mia regione - illustra Pignata - i centri vaccinali pubblici, nel tempo, sono stati strutturati soprattutto per la pediatria e non per l'adulto. Abbiamo scelto quindi un modello ibrido, che ovviamente utilizzasse i centri vaccinali delle Asl, coinvolto la medicina generale che si è resa disponibile, ma abbiamo anche ragionato sulla possibilità di aprire ex-novo centri vaccinali all'interno dei centri oncologici, per varie ragioni. Intanto - precisa - per consentire a più pazienti possibili di ricevere la vaccinazione, ma anche perché il paziente oncologico vuole seguire tutte le attività legate alla propria malattia nell'ospedale dove viene curato, quindi accetta e condivide con maggiore favore la possibilità di essere vaccinato nella sede dove effettua tutte le altre terapie. Abbiamo scritto un documento che definisce questi percorsi. Con una discreta soddisfazione - conclude - credo che più pazienti oggi, rispetto al passato, siano vaccinati, ma siamo ancora al di sotto del numero di quelli che ne trarrebbero vantaggio".
Milano, 25 feb. (Adnkronos) - La sentenza di condanna a cinque anni e tre mesi per Marco Albanesi, nella sua qualità di capo Unità manutentiva di Rfi, per disastro ferroviario, omicidio colposo e lesioni colpose, è sancita dalla "colposa sottovalutazione del rischio, a lui noto, di rottura del giunto isolante incollato ammalorato, all'altezza del Km 13+400", nel comune di Pioltello, che causò il deragliamento di un treno regionale che il 25 gennaio 2018 uscì dai binari causando la morte di tre passeggeri e di un centinaio di feriti.
Nella nota del presidente del Tribunale di Milano Fabio Roia - la risoluzione del Csm consente di spiegare le sentenze più complesse in attesa delle motivazioni - si evidenzia come il collegio presieduto dalla giudice Elisabetta Canevini ha assolto gli ex dirigenti - l'ex ad Maurizio Gentile e gli ex manager Umberto Lebruto, Vincenzo Macello e Andrea Guerini - "tutti per non aver commesso il fatto", data "l'assenza di prova in ordine alla realizzazione di condotte commissive od omissive ad essi rimproverabili, considerazione dei rispettivi ruoli ricoperti all'interno dell'assetto organizzativo di Rete ferroviaria italiana, nonché degli effettivi flussi informativi circa l'ammaloramento del giunto e l'inadeguatezza della manutenzione che ne ha determinato la rottura la mattina del 25 gennaio 2018, cagionando così il tragico disastro".
Il Tribunale - in coerenza con l'indirizzo interpretativo già accolto dalla Suprema Corte di Cassazione nella vicenda relativa al disastro ferroviario di Viareggio - "ha escluso che le norme cautelari astrattamente violate, il cui rispetto avrebbe evitato il verificarsi del disastro, avessero ad oggetto specifiche cautele antinfortunistiche, ritenendo che in realtà esse attenessero alla gestione di un rischio ontologicamente diverso, relativo alla sicurezza della circolazione ferroviaria e alla tutela della pubblica incolumità: e sulla base di questo inquadramento giuridico della vicenda ha vagliato la sussistenza, e l'osservanza in concreto delle posizioni di garanzia riferibili ai singoli". Le motivazioni del processo di primo grado saranno rese note tra 90 giorni.
(Adnkronos) - Quello spezzone che manca, circa 23 centimetri, sbalzato a "diversi metri di distanza" è per la procura la causa del deragliamento e grazie a una telecamera che punta sul tratto ferroviario emerge che "I problemi che stava dando quel giunto duravano da qualche giorno". Al passaggio del treno su quel tratto si generano scintille, le prime scintille già a partire dal 17 gennaio, proseguono e aumentano intensità e frequenza" con l'incremento dell'erosione.
Il giorno del deragliamento "le scintille sono contenute al passaggio delle prime carrozze, poi c'è quasi una fiammata" mentre il convoglio viaggia a "140 chilometri l'ora", infine "basta scintille" perché "il giunto è saltato" e le ultime carrozze non viaggiano più sui binari. "Possiamo dire con certezza che è la rottura del giunto che ha determinato lo svio del treno" è la sintesi dei pm Leonardo Lesti e Maura Ripamonti durante la requisitoria. "E' evidente che questa rottura determina l'evento e la morte di tre persone e il ferimento di circa 200" di cui deve rispondere "chi non ha provveduto alla corretta manutenzione del giunto" che si trovava "in condizioni di forte degrado" è la tesi della procura.
Su quella linea in cui passano circa 100 treni al giorno il malfunzionamento viene rilevato - secondo la tesi della procura fin dal febbraio 2017 o addirittura anche prima - ma la sostituzione dei giunto non arriva mai, la strategia di Rfi, per la pubblica accusa, sembra essere "il giunto si cambia se è rotto, se non è rotto si tira avanti". L’incidente mortale di Pioltello "non è un fatto occasionale, ma riconducibile alla colpa che arriva fino all'amministratore delegato Gentile". Il non aver riparato il giunto lungo i binari "è una sorta di scorrettezza nei confronti dello Stato" ma "anche una forma di slealtà" nei confronti di chi viaggiava: "c'erano 250 passeggeri, gente che andava a lavorare e si fidava del treno". Una tesi accusatoria che non ha convinto il tribunale.
(Adnkronos) - Lebruto e Macello, presenti in aula, si sono lasciati andare a qualche lacrima di commozione dopo l'assoluzione, mentre alcuni dei passeggeri che viaggiavano sul treno deragliato hanno lasciato l'aula in silenzio e con tutt'altro stato d'animo. Di fatto il tribunale ha condannato solo l'allora capo dell'Unità manutentiva di Rfi Marco Albanesi (la procura aveva chiesto 6 anni e 10 mesi) per disastro ferroviario colposo, omicidio e lesioni colpose, ritenendolo responsabile sul territorio del mancato controllo o meglio come "colposa sottovalutazione del rischio" come spiega lo stesso Tribunale. Lui, in solido con il responsabile civile Rfi, dovrà risarcire le parti civili (una cinquantina) con una provvisionale di 25mila per ciascuno dei passeggeri che si sono costituiti nel processo e di 50mila al sindacato Filt - Cgil Lombardia.
Gli ex manager per cui la procura aveva chiesto la condanna sono invece stati assolti dall'accusa di disastro ferroviario colposo e omicidio e lesioni colpose "per non aver commesso il fatto" e "perché il fatto non sussiste" rispetto all'accusa di omissione dolosa di cautele contro gli infortuni sul lavoro. I giudici hanno anche assolto - come chiesto dalla stessa procura - Moreno Bucciantini, allora capo reparto Programmazione e controllo dell’Unità territoriale linee Sud di Rfi, Ivo Rebai, ai tempi responsabile della Struttura operativa Ingegneria della Dtp e Marco Gallini, allora dirigente della Struttura organizzativa di Rfi.
Sono le 7.01 del 25 gennaio 2018 quando il treno 10452 esce dai binari e tre delle sei carrozze, dopo il deragliamento, si ribaltano. Tra le lamiere della carrozza numero 3 muoiono Pierangela Tadini, 51 anni, Giuseppina Pirri, 39 anni, e Ida Maddalena Milanesi, 61, dottoressa dell'ospedale neurologico Carlo Besta di Milano. Dall'ispezione della sede ferroviaria "viene accertato sul binario una rottura della superficie della rotaia" che diventerà il 'punto zero' per l'inchiesta.
(segue)
Roma, 25 feb. (Adnkronos) - Luca Attanasio, "convinto che la sua missione istituzionale non potesse prescindere dall'impegno sociale, è sempre rimasto a fianco degli ultimi, esprimendo l'ideale del diplomatico dal volto umano, nella certezza che nessuno, in qualsiasi parte del mondo, dovesse essere lasciato indietro". Lo ha affermato il presidente della Camera, Lorenzo Fontana, ricordando in Aula l'ambasciatore Attanasio, ucciso insieme al carabiniere Vittorio Iacovacci e all’autista Mustapha Milambo in un agguato nella Repubblica democratica del Congo il 22 febbraio di quattro anni fa.
"Oggi rendiamo omaggio alla memoria di un uomo -ha aggiunto il presidente della Camera- che ha dedicato la propria esistenza al servizio del Paese e a sostegno della cooperazione internazionale. Ma non possiamo non ricordare il coraggio e l’alto senso del dovere dimostrati dal carabiniere scelto Iacovacci che, nel tentativo di proteggere l’ambasciatore, non ha esitato a fargli da scudo con il proprio corpo. Un gesto nobile e generoso che gli è valso il conferimento alla memoria della Medaglia d’oro al valor militare e che riflette i valori più autentici che contraddistinguono le donne e gli uomini dell’Arma".
"Un ringraziamento va anche a tutto il personale civile e militare che, spesso esponendosi a pericoli estremi, svolge un ruolo cruciale nella promozione della pace e dell’assistenza alle popolazioni più vulnerabili in zone di crisi e contesti ad alto rischio. A loro esprimo la mia profonda gratitudine e riconoscenza. Ai familiari dell’ambasciatore Luca Attanasio e di Vittorio Iacovacci, oggi qui presenti, desidero rinnovare la vicinanza mia personale e della Camera dei deputati. Il loro -ha concluso Fontana- è il dolore dell’Italia intera, che non può e non deve dimenticare il sacrificio di chi l’ha servita con onore e disciplina". L'Aula ha quindi osservato un minuto di silenzio.
Kinshasa, 25 feb. (Adnkronos/Afp) - Il procuratore della Corte penale internazionale (Cpi), Karim Khan, è arrivato nella Repubblica Democratica del Congo. Lo ha comunicato il suo ufficio, mentre è in atto una recrudescenza dei combattimenti nella parte orientale del Paese. Nelle ultime settimane, l'M23, sostenuto dal Ruanda, ha conquistato due importanti città nella Repubblica Democratica del Congo orientale, rafforzando così il suo potere nella regione da quando ha ripreso le armi alla fine del 2021.
"Siamo estremamente preoccupati per i recenti sviluppi in Congo, sappiamo che la situazione è grave, soprattutto nella parte orientale", ha detto Khan ai giornalisti al suo arrivo nella capitale Kinshasa. "Il messaggio deve essere trasmesso in modo molto chiaro: nessun gruppo armato, nessuna forza armata, nessun alleato di gruppi armati o forze armate ha un assegno in bianco. Devono rispettare il diritto umanitario internazionale".
Secondo gli esperti delle Nazioni Unite, l'M23 è supportato da circa 4.000 soldati ruandesi. Sin dalla sua rinascita, gli scontri tra il gruppo e le forze armate congolesi hanno provocato una crisi umanitaria in una regione flagellata da tre decenni di guerre. "Questo è il momento in cui vedremo se il diritto penale internazionale può soddisfare le richieste avanzate dal popolo della Repubblica Democratica del Congo, ovvero l'applicazione equa della legge", ha affermato Khan. "Il popolo della Rdc è prezioso quanto il popolo dell'Ucraina, il popolo di Israele o della Palestina, le ragazze o le donne dell'Afghanistan", ha aggiunto.
Khan incontrerà il presidente Felix Tshisekedi, alcuni ministri, il rappresentante nazionale del Segretario generale delle Nazioni Unite Bintou Keita, nonché le vittime del conflitto e membri della società civile. La prima indagine avviata dalla Cpi nella Repubblica Democratica del Congo risale al 2002. Da allora, il tribunale ha condannato tre persone per crimini commessi nel Paese. Nel 2023, la procura della Cpi ha inoltre avviato un'indagine sulle accuse di crimini commessi a partire da gennaio 2022 nella provincia del Nord Kivu, nella parte orientale della nazione. L'ufficio di Khan, che ha visitato il Paese nel maggio 2023, ha dichiarato all'inizio di questo mese che l'attuale situazione nella Rdc orientale "fa oggetto di un'indagine che è in corso".
Roma, 25 feb. (Adnkronos Salute) - "L'impegno di Danone per far conoscere alle persone l'importanza di un microbiota in salute nasce 35 anni fa, quando lanciammo Activia, un prodotto che ha la vocazione di migliorare il benessere intestinale di tutti gli italiani. Oggi diamo un'accelerazione a questo impegno grazie alla nuova campagna con la quale lanciamo un nuovo strumento: un questionario online molto semplice, creato su basi scientifiche e in grado di dare un risultato, una specie di assessment, sullo stato di salute del microbiota intestinale dei rispondenti". Così Yoann Steri, digital & data director di Danone Italia, in occasione dell'evento 'Innovazione e benessere: il microbiota al centro', organizzato dall'azienda, illustra l'iniziativa del questionario online validato scientificamente da Giovanni Barbara, tra i massimi esperti di microbiota, che analizza lo stato del microbiota intestinale e consente, in modo semplice, di indicare come le abitudini alimentari e, in generale, lo stile di vita influenzano lo stato del microbiota.
"Attraverso il questionario, il rispondente può avere indicazioni e risultati che gli permettono di migliorare il suo stato di salute attraverso l'analisi di diversi fattori, come lo stress, l'attività fisica, la qualità del sonno e la nutrizione, in cui Activia ha un ruolo molto importante", conclude.