Ambiente & Veleni

Uva bruciata e piante che non crescono, la viticoltura in Sicilia stravolta dalla siccità: “Costretti a vendemmiare ora, così non si va avanti”

Il saliscendi di campi coltivati si spinge fino alle porte di Marsala, nel Trapanese, e poi più giù, a Mazara del Vallo. La vite, con le sue foglie verdi, si staglia sul paesaggio arido, bruciato dal sole. Questa, in Sicilia, è una delle aree più ricche d’acqua, eppure l’ultima pioggia di una certa rilevanza risale al 10 di gennaio. Una vita fa. Oggi i due fratelli Bertolino, Salvatore e Gabriele, che qui hanno avviato la propria azienda agricola nel 2017, inizieranno la vendemmia. Per la prima volta, l’1 di agosto. “È una situazione assurda. In genere raccogliamo il catarratto a fine settembre. Lo stiamo facendo ora. L’uva è così disidrata che presenta un’acidità e un grado zuccherino altissimo”. A circa due ore e mezza di auto, più a sud, nell’Agrigentino, c’è l’azienda agricola Passofonduto, che ha la particolarità di sorgere su un terreno prevalentemente argilloso: “Le falde sono totalmente asciutte – racconta Giuseppe Cipolla – ieri ho iniziato a vendemmiare, è incredibile. Le uve bianche sono ustionate. E il Nero d’Avola non cresce più, non ha più forza. In queste condizioni climatiche non si può fare viticoltura“.

Un inverno e una primavera caldi, privi di piogge, hanno promosso un precoce germogliamento e di conseguenza un’anticipazione di tutte le fasi fenologiche e fisiologiche della vite. Le uve in pratica, a causa delle alte temperature e dei cambiamenti climatici, sono maturate prima. La situazione, però, è complessa, se si tiene conto che la Sicilia è ricca di ecosistemi molto differenti tra loro. “Ieri mattina sono partito dalla mia cantina, a Camporeale – spiega Marco Sferlazzo dell’azienda agricola Porta del Vento – e sono andato a Mazara del Vallo. Lungo il tragitto ho trovato sia vigneti in sofferenza sia vigneti verdissimi. I miei, per esempio, sono in salute”. La ragione? “Le varietà autoctone – continua Sferlazzo – si adattano meglio alla siccità e ai climi torridi che stiamo vivendo ultimamente. Allo stesso modo, conta anche l’età: vigneti più vecchi riescono a sopportare meglio la scarsità d’acqua e le alte temperature“. Da questo punto di vista i contributi comunitari per la realizzazione di nuovi vigneti stanno danneggiando, oltreché il territorio, anche chi li possiede. L’Ue, infatti, garantisce finanziamenti per “rendere più competitivi” i vigneti (che esprimono il massimo della loro produzione nei primi dieci anni di vita, ma la qualità migliore dopo i 15) e, di conseguenza, gli agricoltori. Chi li richiede estirpa i “vecchi” per impiantarne di nuovi. Una pratica che, con la crisi climatica in corso, si sta rivelando fallimentare.

L’emergenza siccità sta colpendo praticamente tutta l’isola. Ed è diventata argomento di scontro politico – interno al centrodestra – tra l’attuale presidente, Renato Schifani, e il predecessore, oggi ministro, Nello Musumeci. Intanto, però, nel Gelese la semina è compromessa, dato che non c’è modo di accedere all’irrigazione. E i razionamenti e le sospensioni idriche si stanno diffondendo a macchia d’olio in tutta la regione. Nel delicato intreccio tra crisi climatica e agricoltura – e viticoltura in particolare – sono le aziende come quelle di Sferlazzo, Cipolla e i fratelli Bertolino a poter indicare la via da seguire, trattandosi di vignaioli che non usano pesticidi, fertilizzanti e additivi enologici e che, il più possibile, cercano di rispettare l’ambiente e la biodiversità. “Sono fortemente convinto che le buone pratiche agricole, che evitano lo sfruttamento del suolo e delle risorse idriche aiutino, quanto meno, a rallentare il cambiamento climatico, che principalmente è dovuto alla grande industria” dice Salvatore Bertolino.

Intanto, però, anche Bertolino deve fare i conti con gli effetti del riscaldamento globale. “Marsala, dove abbiamo i nostri vigneti, è una delle zone della Sicilia che meno soffre la siccità. Quest’anno però è diverso. I tralci delle viti, a causa delle alte temperature, non hanno finito l’accrescimento. La raccolta di pinot grigio l’abbiamo fatta la settimana scorsa, in anticipo di 15 giorni. Quella di sangiovese è in anticipo di un mese. La situazione è pessima”. I fratelli Bertolino coltivano anche il grano. “Con un ettaro abbiamo prodotto 5-6 quintali, di solito superiamo i 20“. Le spighe, quest’anno, erano così basse che la mietitrebbia non era nemmeno in grado di acchiapparle. “Se sono spaventato per il mio futuro? Me lo chiedono in tanti. Ma più che per la mia attività imprenditoriale, sono preoccupato per la salute dell’uomo e del Pianeta. Al di là del vino e dell’agricoltura, bisogna guardare nel loro insieme i sistemi con cui produciamo cibo“.

È dello stesso avviso Giuseppe Cipolla, che ha lasciato anni fa il lavoro in uno studio notarile per dedicarsi a quella che definisce la propria “ossessione”. Cioè il vino. “Il ragionamento da fare, al di là della viticoltura – dice – è sulle modalità con cui stiamo sfruttando il Pianeta. Bisogna cambiare paradigma, perché così non si può continuare”. Cipolla, per esempio, non vuole considerare, nel suo discorso, chi usa sistemi d’irrigazione per le viti: “Uno dei pochi adattamenti da mettere in pratica riguarda la scelta di terreni più vocati, più freschi, con una maggiore escursione termica. Tutte cose che certi agronomi già fanno. Ma io sono qui a sperare nell’acquazzone, perché se non piove entro settembre mi moriranno un sacco di piante“.

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