Mafie

Voto di scambio politico mafioso, condannato a 10 anni l’ex deputato di Forza Italia Salvatore Ferrigno

A meno di due anni dall’arresto, il Tribunale di Palermo ha condannato a dieci anni per voto di scambio politico mafioso l’ex deputato di Forza Italia Salvatore Ferrigno. Secondo l’accusa, l’esponente politico, candidato alle elezioni dell’Assemblea Regionale Siciliana del 2022, avrebbe accettato la promessa del mafioso di Carini, Giuseppe Lo Duca, di procurargli i voti in cambio di soldi e dell’impegno a soddisfare gli interessi dei clan. Il patto sarebbe stato stretto con l’intermediazione di Piera Lo Iacono.

L’imputato è stato parlamentare nazionale di Forza Italia nella circoscrizione Esteri nel 2006 e nel 2022 era candidato alle regionali con la formazione politica di Raffaele Lombardo. Stessa condanna, dieci anni di reclusione ciascuno, è stata inflitta a Lo Duca e Lo Iacono. Agli atti dell’inchiesta, coordinata dalla Dda diretta da Maurizio De Lucia, è confluito un video che documenterebbe la consegna del denaro da parte di Ferrigno.

“Piera… io posso corrispondere al momento di tre al massimo quattro paesi, e basta. E sono: Carini, Torretta, Cinisi, Terrasini“. “Bravo”. “Da lì io non mi sposto più perché non voglio più avanzare”, una delle conversazioni intercettate dai Carabinieri tra Giuseppe Lo Dico e Piera Lo Iacono. “Sicché, Lo Duca – scriveva il giudice per le indagini preliminari Fabio Pilato – anche in ragione della sua “amicizia” con il candidato, che sarebbe stata a quest’ultimo chiaramente evidente, allorché avrebbe ricevuto il messaggio di Lo Iacono, quantificava la propria richiesta di denaro in cinquemila euro per ognuno dei quattro comuni (”non meno di cinque a paese’)”. “Vedi che a Cinisi, gli presento cinquemila – diceva il boss intercettato – … “millecinque tu e millecinque io” … non c’è niente da fare!”.

“Eloquente l’ultima espressione di Lo Duca”, scriveva il gip: “la spartizione della somma con ciascun rappresentante di Cosa nostra di ogni paese era necessaria al fine di garantire un introito economico alla articolazione mafiosa che si sarebbe dovuta mobilitare e di assicurare, analogamente a quanto avviene nel meccanismo delle “messe a posto”, il dovuto rispetto e riconoscimento ai mafiosi di quei comuni”.