Il caso della pugile algerina “troppo mascolina” e della sua vittima italiana ha suscitato una attenzione straordinaria e ha visto il governo e tutti i settori della destra italiani compatti contro il Comitato Olimpico Internazionale. Il quale Cio ribatte contro le discriminazioni ma anche contro le malinterpretazioni della vicenda specifica.

Vedremo nei prossimi giorni se questa diventa una polemica internazionale crescente o se rimane quella di ieri: una presa di posizione prevedibile (anche se non scontata) della transfobia mondiale che interessa soprattutto l’Italia, e che coinvolge soprattutto il governo italiano. Meloni rischia addirittura lo scontro con l’Algeria (singolare paradosso, uno scontro a parti rovesciate con un paese islamico su una questione etica di questo tipo).

Come in altri tormentoni estivi la polemica è tanto forte e diffusa quanto invece è raro circoscritto e molto lontano dalla vita quotidiana il tema, ovvero la eventuale concorrenza sleale di donne “troppo mascoline” negli sport femminili. Il vero oggetto del contendere è la autodeterminazione di genere: ormai un diritto civile nuovo ma imprescindibile per noi progressisti, un vero incubo per i conservatori.

Va detto subito che il problema nelle competizioni sportive va preso in considerazione. Noi sostenitori della autodeterminazione di genere non rifiutiamo di confrontarci con la complessità come invece fanno i nostri avversari. Il Cio nel suo regolamento non dice semplicemente che gareggia con le donne chiunque si dichiari o si sente donna, ma stabilisce livelli di testosterone. Nei casi ammessi alle Olimpiadi, come quello di Imane, questi livelli non sono stati superati. È accettabile un dibattito nel merito solo se scientifico e rispettoso.

Ma quello che sta succedendo è un’altra cosa. La pugile Imane è stata presa come pretesto, come simbolo di chi non sa stare (in realtà non può stare) nel canone strettamente binario che sarebbe imposto da madre natura. Il pretesto è sbagliato: Imane non è nata maschio. E se avesse per caso desiderato (ma non risulta) diventare maschio, la transfobia glielo avrebbe impedito. La autodeterminazione di genere non è responsabile del dolore provato dalla pugile italiana. Quello è il pugilato, bellezze, che tra l’altro, proprio per questo, non è il più splendido degli sport.

In buona o mala fede, per ignoranza pregiudizio o calcolo politico populista, in tanti sono andati contro il Cio, ma alla fine è probabile che la saggezza olimpica prevarrà.

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