La gamba sinistra è segnata dalle cicatrici, ma la ferita mai rimarginata è nel cuore e nella memoria. Francesco Rocca, oggi 70 anni, ex terzino della Roma con 173 presenze e 2 gol, 18 partite e una rete in Nazionale ha vissuto un ventennio da Kawasaki e mezzo secolo tra tormenti e inquietudine. Era appena ventiduenne quando, il 19 ottobre 1976, crollò urlando sul prato delle Tre Fontane, quartiere Eur, nel bel mezzo dell’allenamento. Francesco stava palleggiando con l’arbitro Riccardo Lattanzi. Il ginocchio cedette. La gamba aveva preso una brutta botta in Roma-Cesena, il 10 ottobre, ma Rocca non volle sentire ragioni e rispose alla convocazione in nazionale. Giocò contro il Lussemburgo, sabato 16: l’ultima chiamata in azzurro, l’ultima partita da giocatore vero. E che giocatore: il primo terzino moderno della storia del nostro calcio, senza dimenticare naturalmente un totem come Giacinto Facchetti.

L’inizio della fine: il calvario di Rocca
Il 21 ottobre l’operazione nella clinica Villa Bianca, a Roma. Il professor Lamberto Perugia scoprì una situazione gravissima: danni ai legamenti e alla capsula del ginocchio, distacco osteo-cartilagineo del condilo femorale interno. Una situazione problematica oggi, figurarsi allora. Iniziava un calvario: il ritorno in campo il 17 aprile 1977; il gonfiore al ginocchio 20 giorni dopo; la seconda operazione a Lione il 15 settembre 1977 affidata al professor Albert Trillat; il terzo intervento ancora di Trillat il 29 giugno 1978; la quarta operazione il 9 maggio 1978; la quinta il 18 dicembre 1980. “Non mi arrendo. Voglio riprovarci ancora prima di decidere il mio futuro”, disse dopo l’ultima sosta sotto i ferri. Il 3 agosto 1981 l’annuncio, in una conferenza stampa improvvisata: “Smetto. Non posso più tornare quello di una volta ed è meglio fermarsi per non compromettere ulteriormente la situazione – Oggi è il giorno più brutto della mia vita”. Il 29 agosto 1981, l’amichevole contro l’Internacional Porto Alegre per salutare il popolo romanista, la maglietta bianca con il numero 3, una medaglia al collo, la sciarpa, l’Olimpico a urlare il suo nome per tre minuti, la faccia stravolta, il buffetto del presidente Viola e una frase: “Non è un addio, ma un arrivederci”. E invece quella sera di agosto di 43 anni fa si consumò davvero il distacco dalla Roma.

Rocca e la Roma
Rocca non è più tornato in quella Roma
“alla quale ho dato una gamba”. Rocca scomodo. Rocca non più il “burino” della gioventù, ma l’uomo che legge Seneca. Rocca e il suo rigore morale. Rocca dimenticato dalle dirigenze di quasi mezzo secolo di Roma, ma non dai tifosi, che lo hanno voluto nella Hall of Fame. Rocca che pochi giorni fa è stato invitato a Trigoria da Daniele De Rossi – gesto che la dice lunga sui valori dell’attuale tecnico giallorosso –per un emozionante incontro con la squadra “vi presento una leggenda”. Rocca che ha avuto diversi incarichi nel settore federale – Olimpica, Under 15, Under 16, Under 17, Under 18, Under 19 e Under 20 -, ma al quale è stato negato il salto nell’Under 21. Rocca voluto da Dino Zoff nel biennio dell’ex portierone alla guida della nazionale. Rocca che è andato in pensione nel silenzio totale. Rocca che molti personaggi del calcio quando lo incontrano abbassano lo sguardo. Rocca al quale sono state fatte molte promesse e nessuna mantenuta. Rocca che era una bellezza vederlo correre sul campo, travolgendo gli avversari, facendo su e giù nella sua fascia. Rocca che sapeva attaccare, ma sapeva anche difendere e un giorno annullò Lato, attaccante polacco veloce e con il senso del gol. Rocca che è stato allenatore ed educatore, preparatore ed intenditore di calcio. Rocca che avrebbe meritato una chance importante. Rocca al quale in tanti non hanno più risposto al telefono. Rocca che si è portato dentro quello che avrebbe potuto essere e non è stato. Rocca che ha una moglie che gli è stata sempre al fianco e due figli, Chiara e Marco, ragazzi d’altri tempi che si portano dentro i valori trasmessi dal padre. Rocca che lo chiamavano e lo chiamano ancora Kawasaki. Rocca che profuma di anni Settanta, con tutto il bagaglio del decennio: le speranze, i tormenti, le delusioni, lo spirito ribelle, i colori e il bianco e nero. Buoni 70, campione.

Community - Condividi gli articoli ed ottieni crediti
Articolo Precedente

Loris Karius cerca disperatamente squadra in Italia: vuole vivere vicino a Diletta Leotta. Contatti col Milan

next