Corsa dell’ultimo minuto in Parlamento per riuscire a smaltire i quattro decreti da approvare prima della pausa estiva. E per evitare che scadano. Un “traffico intenso” che comporterà lo slittamento di alcuni dei temi caldi, dalla nomina del nuovo cda Rai alla riforma del premierato. Senza contare l’elezione del giudice della Corte costituzionale, un “vulnus” ancora non sanato nonostante il richiamo di Sergio Mattarella. Lo stesso presidente della Camera, il leghista Lorenzo Fontana, intervenendo durante la cerimonia del Ventaglio, ha confermato la condanna per “l’uso eccessivo dei decreti d’urgenza da parte del governo”. E ha detto di aver scritto a Giorgia Meloni per “auspicare un cambio”.

Protesta anche il leghista Fontana – I decreti “sono troppi”, il governo ne ha sottoposti al vaglio delle Camere più di 70, e in particolare in questo mese di luglio, prima della pausa estiva, c’è stato un ingorgo di provvedimenti da votare in fretta, spesso non permettendo il giusto approfondimento da parte di commissioni e Aula. A lamentarsene è stato anche il presidente della Camera, Lorenzo Fontana, che ha detto di aver scritto in proposito direttamente alla premier, Giorgia Meloni. “Della questione della decretazione d’urgenza”, ha detto, “mi sono occupato da subito, è un problema che va avanti da diverse legislature e non è solo di questa. Io ho scritto una lettera a Giorgia Meloni facendo presente che sarebbe meglio diminuire questa decretazione, anche perché spesso vediamo che l’urgenza non ci sarebbe. Si dovrebbe rispettare di più le caratteristiche del Parlamento e stiamo cercando di suggerire anche modi alternativi, ma a me sembra che sia anche un pò un’abitudine ormai di alcuni uffici ministeriali”. Non è solo il grande numero di decreti a preoccupare Fontana: “Ho sottolineato in questa lettera anche altre due criticità: gli emendamenti governativi che arrivano spesso negli ultimi giorni mettendo in difficoltà commissioni e Aula e il fatto che spesso si tratti di decreti ‘omnibus’ con dentro temi molto diversi tra loro. Noi quello che possiamo fare lo facciamo ma ovviamente serve un coordinamento da parte di tutti”.

Sulla base dei dati di fine giugno riportati da Openpolis, la maggior parte dei governi ha avuto pessime prestazioni in quanto a decretazione d’urgenza. Ma Meloni segna un nuovo record. “Il numero di Dl dell’esecutivo”, si legge nel report di un mese fa, “è superiore anche a quello del governo Draghi che nei suoi 615 giorni a palazzo Chigi si era fermato a 63”. Quindi il governo Meloni “si pone adesso al secondo posto fra i governi con più decreti legge pubblicati nelle ultime 4 legislature. Solo il quarto esecutivo guidato da Silvio Berlusconi infatti ne ha prodotti di più ma in un lasso di tempo molto più ampio: parliamo di 80 decreti pubblicati in circa 3 anni e mezzo”. E visto che tutti gli esecutivi delle ultime legislature “hanno avuto durata diversa”, “è utile fare una valutazione del numero medio di decreti legge pubblicati al mese per avere un’idea di quali esecutivi abbiano fatto un ricorso più frequente allo strumento. Da questo punto di vista possiamo osservare che l’attuale governo si colloca al primo posto con una media di 3,34 decreti legge pubblicati ogni mese”. Per quanto riguarda il totale degli esecutivi, dopo quello di Draghi segue il governo di Matteo Renzi con 56 decreti, due in più del Conte I. Tra chi ne ha fatti meno (ma va messo in relazione anche alla durata): Mario Monti (41); il governo Conte 1 (26); poi l’esecutivo di Enrico Letta con 25 e infine Paolo Gentiloni con 20.

I decreti che rischiano di scadere – Le cronache parlamentari parlano di ultimi giorni d’affanno in Parlamento, tra Aule e Commissioni affollate da deputati e senatori che sperano di evitare uno slittamento delle ferie. La chiusura dei lavori infatti, a palazzo Madama così come a Montecitorio, è attesa entro la fine della prossima settimana. Ma nonostante la corsa, non si è ancora conclusa la maratona dei decreti da approvare. La tabella di marcia parla chiaro: c’erano dieci decreti a inizio luglio, ne restano quattro da convertire prima della scadenza. La situazione tra Camera e Senato è di parità: sono due i decreti da approvare per ramo entro una settimana, o poco meno. Senza contare che Palazzo Madama punta a chiudere i battenti già mercoledì 7 agosto. In Senato sarà la conferenza dei capigruppo di lunedì a decidere gli ultimi passi verso la conversione del dl Infrastrutture e del dl Materie prime. Restano perciò bloccati in commissione diversi provvedimenti, dai due ddl sulla salute mentale fino a quello sul doppio cognome. A Montecitorio non si va meno in fretta: qui aspettano il via libera definitivo sia il dl Ricostruzione, in Aula per la discussione generale, che il dl Carceri. Quest’ultimo decreto dovrà passare ancora in commissione, dove le opposizioni hanno annunciato che sono pronte dare battaglia.

Cosa resta bloccato – La precedenza va ai decreti, e così restano imbottigliati provvedimenti importanti per la maggioranza, come la riforma del Premierato e il ddl Sicurezza. Sono ancora in corso i tentativi di sbloccare anche la questione della nomina del nuovo cda Rai, mentre resta da sciogliere il nodo della scelta del giudice della Corte Costituzionale. Per quanto riguarda il ddl Sicurezza, la capigruppo della Camera ha già deciso. L’esame d’Aula slitta a settembre, ma in commissione, dopo l’ok all’emendamento per la stretta sulla cannabis light, si punta a chiudere prima della pausa. Ancora all’analisi della commissione Affari costituzionali la riforma del Premierato, che si aggiungerà ai lavori dopo la ripresa. Quando però inizierà a pesare anche la spada di Damocle della finanziaria, che complica ulteriormente il quadro. Sul cda Rai c’è in corso il braccio di ferro in maggioranza e l’ipotesi di chiudere prima delle ferie agostane sembra allontanarsi sempre di più. E così, a settembre, potrebbe aggiungersi anche la sfida per il rinnovo delle nomine.

Il “vulnus” del giudice costituzionale mancante – Rinviata a settembre anche una delle partite più difficili: l’elezione del giudice della Consulta. E proprio su questo il presidente della Repubblica Mattarella si è espresso poco più di una settimana fa con parole durissime: “La lunga attesa della Corte Costituzionale per il suo quindicesimo giudice”, ha detto, “è un vulnus alla Costituzione compiuto dal Parlamento, proprio l’istituzione che la Costituzione considera al centro della vita della nostra democrazia. Non so come lo si vorrà chiamare: monito, esortazione, suggerimento, invito. Ecco, invito, con garbo ma con determinazione, a eleggere subito questo giudice”. E ha aggiunto: “Ricordo che ogni nomina di giudice della Corte Costituzionale, anche quando se ne devono scegliere diversi contemporaneamente, non fa parte di un gruppo di persone da eleggere, ma consiste, doverosamente, in una scelta rigorosamente individuale, di una singola persona meritevole per cultura giuridica, esperienza, stima e prestigio di assumere quell’ufficio così rilevante”. Il presidente della Camera Lorenzo Fontana ha già annunciato, a partire da settembre, la convocazione del Parlamento in seduta comune con cadenza settimanale, con possibili votazioni continuative. E anche in quel caso sarà una corsa.

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