È un anniversario diverso dagli altri, probabilmente anche più importante. Il 44° anno dalla strage di Bologna – 85 vite perse sotto le macerie e nella polvere del collasso della sala d’aspetto di seconda classe e 200 vite segnate nel corpo e nella mente – porta con sé la “luce in fondo al tunnel” auspicata dai parenti delle vittime, la cui ostinazione ha portato un contributo fondamentale alle ultime due condanne, entrambe in appello. Verdetti che si aggiungono a quelli definitivi per gli ex Nar Valerio Fioravanti, Francesca Mambro e Luigi Ciavardini. L’ergastolo lo scorso 8 luglio confermato in appello a Paolo Bellini, killer di ‘ndrangheta ed estremista nero di Aavanguardia Nazionale, si aggiunge al fine pena mai inflitto il 23 settembre per il quarto Nar: Gilberto Cavallini. Verdetti che contribuiscono a riempire le tessere mancanti nel mosaico generale già disegnato da giudici dell’Assise di Bologna che nel motivare la condanna a Cavallini definirono il massacro della stazione “una strage di Stato” con i “Nar compromessi coi servizi segreti” e “depistaggi” che “sono stati la regola da piazza Fontana a Ustica”. Un anno fa a dominare il dibattito erano le dichiarazioni dell’allora portavoce della Regione Lazio, Marcello De Angelis, sull’innocenza di condannati in via definitiva. Ma i due verdetti nell’anno trascorso hanno spazzato via il fango di quelle affermazioni.

“Sappiamo la verità e abbiamo le prove” – Ed è per questo che per oggi l’associazione dei familiari delle vittime ha scelto la frase: “Sappiamo la verità e abbiamo le prove”. Una strage fascista, come ricorda il manifesto dell’associazione, che appare finalmente più chiara. La verità giudiziaria, tanto inseguita dai familiari delle vittime, è che a quell’attentato parteciparono non solo i Nar Valerio Fioravanti, Francesca Mambro e Luigi Ciavardini (condannati in via definitiva), ma tutte le formazioni dell’estrema destra dell’epoca, finanziate dai soldi distratti dal Banco Ambrosiano da Licio Gelli e Umberto Ortolani e coperte dai servizi segreti deviati, con il contributo del capo degli ufficio Affari Riservati del Viminale, Federico Umberto D’Amato e del giornalista Mario Tedeschi. Tutti morti e non più imputabili, ma riconosciuti comunque come mandanti, finanziatori e organizzatori dell’attentato compiuto per destabilizzare l’ordine democratico nell’ambito della strategia della tensione.

Questi due nuovi processi hanno ampliato il contesto e individuato gli altri responsabili di quell’attentato. Che non furono solo i Nar, ma tutti i movimenti della destra estremista dell’epoca, cementati da fiumi di denaro sottratti dalla P2 di Licio Gelli al banco Ambosiano di Calvi, con la copertura dei servizi deviati. L’impostazione di cui fin dall’inizio è stata certa la Procura generale, che nel 2017 avocò le indagini sui cosiddetti mandanti dopo che la procura aveva chiesto una controversa archiviazione. “Ci è parso che forse ci sia ancora qualche spunto investigativo da approfondire, per il rispetto che si deve ai familiari delle vittime e alla città di Bologna” aveva spiegato l’avvocato generale Alberto Candi, numero due della Procura generale di Bologna il 26 ottobre 2017. Spunti che sono diventati processi e verdetti, verità processuale e storica.

A questo mosaico andranno aggiunte le motivazioni della condanna di Bellini per sapere quanto l’interpretazioni dei magistrati di secondo grado sia vicina o si sovrapponga a quella dei giudici di primo grado, che motivarono il fine pena mai per l’ex terrorista di Avanguardia Nazionale partendo dalla “prova granitica” della presenza in stazione grazie al video amatoriale (il filmato del turista tedesco, poi vivisezionato anche in appello) che ritrae un uomo con le sue fattezze e che per l’ex moglie di Bellini, che cambiando la sua versione ha scardinato l’alibi, è senz’altro “Paolo”. Maurizia Bonini, cambiando la sua versione dopo quarant’anni e affermando che la mattina del 2 agosto Bellini arrivò a Rimini non alle 9, ma molto più tardi, verso l’ora di pranzo, è stata l’“arma” più convincente. Le dichiarazioni precedenti avevano portato a un proscioglimento poi annullato grazie alle nuove indagini nel 2019. Ci sono gli altri imputati: l’ex capitano dei carabinieri Piergiorgio Segatel, accusato di depistaggio, e condannato nuovamente a sei anni e di Domenicho Catracchia, ex amministratore di condomini in via Gradoli, a Roma, accusato di false informazioni al pm al fine di sviare le indagini, condannato a quattro anni. Depistaggi accertati e che sono proseguiti nel tempo.

La strategia della tensione – Il verdetto su Bellini, che durante il processo d’appello ha fatto dichiarazioni spontanee parlando della presenza del Mossad, per Paolo Bolognesi, presidente dell’associazione dei parenti, spiegava “come l’attentato sia stato voluto, finanziato dai vertici della loggia massonica P2, sia stato coperto, aiutato, organizzato dai vertici dei servizi segreti italiani che erano iscritti alla P2 e sia stato eseguito da terroristi fascisti“. Restano fuori “sicuramente sono ancora da valutare tutte le responsabilità politiche, che in questo caso non sono ben accertate”. Grazie a questa sentenza “non c’è più spazio per i vari depistaggi, per discorsi sulla pista palestinese, la pista teutonica, pista, è l’ultima emersa nel novembre scorso, la pista israeliana”. La sentenza non fa luce solo sulla strage del 2 agosto ma “su tutte le stragi nel nostro Paese che hanno dietro la strategia della tensione”.

“È una sentenza che conferma la gravità delle violazioni. Non solo la posizione di Paolo Bellini ma tutte le vicende dei depistaggi e delle false informazioni date ai pm, penso alla vicenda di via Gradoli – aveva dichiarato Andrea Speranzoni, avvocato del collegio di parte civile – Non è stata solo una strage in cui si sono perse tante vite umane, ma si è attentato alla democrazia, alle istituzioni della Repubblica, da parte di quella parte del terrorismo e di quelle connivenze istituzionali interne che hanno tentato di sabotare le democrazia. Quest’atto di giustizia è una sutura che cicatrizza qualcosa ma prima ancora ce l’ha raccontato. Abbiamo potuto aprire uno squarcio di verità nuovo. Abbiamo visto un procuratore della Repubblica del 1980 connivente con un imputato connivente del calibro di Paolo Bellini che ha continuato a commettere reati gravissimi. Questo ci deve tenere attenti verso un passato recente ma anche verso il presente, la storia ci insegna che i fatti si possono ripetere. Dobbiamo tenere la guardia molto alta“.

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