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“Massimo Bossetti per apparire nel documentario è stato pagato! Quanto? Netflix può dare 50mila euro uno come lui”: la rivelazione di Fabrizio Corona

Emergono dettagli su "Il Caso Yara: oltre ogni ragionevole dubbio"

Il Caso Yara: oltre ogni ragionevole dubbio” è uno dei titoli più visti sulla piattaforma Netflix. Nelle immagini del docs-film si ripercorrono le vicende di uno dei casi di omicidio più famosi d’Italia. Appare anche colui che è stato ritenuto il colpevole Massimo Bossetti. Ma proprio su questa apparizione è intervenuto l’ex re dei paparazzi Fabrizio Corona durante un suo intervento nel podcast MondoCash.

“Se vedete lui fa l’attore, convinto di essere una star, protagonista della sua serie – ha affermato Corona – e si comporta da artista e personaggio. L’avete visto com’è vestito? Pantalone chiaro, gel, pizzetto, camicia, scarpa bella e pulita, il carcere sembra bello, lui che fa le facce, abbronzatissimo, le strette sugli occhi. Ma non è un attore è uno accusato di una cosa gravissima! Certo che lui è stato pagato! Quanto? Netflix può pagare 50mila euro uno come Massimo Bossetti. Poco? Ma lui era un muratore che faceva due lavori. Se guardate la serie, se conoscete la storia, mentiva alla moglie quando andava nel centro estetico, perché non voleva dirle che buttava 6 euro a settimana per farsi la lampada. Quindi 50mila euro per una persona così sono una grossa cifra”.

Il discorso si sposta poi sui genitori di Yara Gambirasio, Maura Panarese e Fulvio Gambirasio: “Hanno deciso di non essere mai mediatici e non hanno mai rilasciato mezza intervista, mai sono andati davanti alle telecamere, sono sempre stati stretti nel loro dolore. Netflix cosa fa? Prende gli audio, le intercettazioni, i messaggi privati che i genitori lasciavano nella segreteria telefonica della figlia dopo la scomparsa e li fanno ascoltare a tutti. La madre che piange e gli dice ‘amore mio dove sei, spero che stai bene in questo momento’. Hanno messo davanti a milioni di persone le loro immagini, il loro dolore, il loro dramma. Per me è veramente uno sciacallaggio e una strumentalizzazione del dolore vergognoso”.