di Domenico Chiarella*

Il terremoto registrato alle 21:43 del 1° agosto 2024 nell’area di Mandatoriccio (Cosenza) ci ricorda che la regione Calabria è viva e lotta insieme a noi. L’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV) ha stimato che il terremoto ha raggiunto una magnitudo di 4.9 e si è sviluppato a una profondità di circa 21 km. Da un punto di vista geologico, la zona interessata dal terremoto rappresenta un sistema attivo di accrezione (processo mediante il quale materiale roccioso viene accumulato in una zona di subduzione) legato alla collisione dell’Arco Calabro con il blocco Apulo.

Il fatto che fortunatamente non si sono registrati danni a cose o persone non deve derubricare questo evento, ma porre l’attenzione sulla continua attività sismica presente nella regione Calabria e lungo tutto l’Appennino, e su quali studi e interventi effettuare per prevenire non i terremoti – che non sono ad oggi ancora prevedibili – ma gli effetti di una terra viva e dinamica sulla vita delle persone e le infrastrutture.

Lavorare quindi sulla conoscenza e prevenzione invece che sull’emergenza.

Questo aspetto è ancora più vero in un momento storico in cui le scienze geologiche, e quindi le conoscenze del territorio, stanno vivendo una fase di contrazione legata alla diminuzione degli iscritti ai corsi universitari nelle Scienze della Terra con conseguente chiusura o fusione di dipartimenti, relativa riduzione della loro visibilità e ruolo di riferimento per gli studi del territorio, e tagli dei fondi destinati alla ricerca.

Se non capiamo che non possono essere logiche di mercato a condizionare scelte da cui dipenderà il nostro futuro e il nostro bagaglio di conoscenze, e che bisogna supportare la ricerca non solo in ambito geologico ma in tutte le discipline a prescindere dal loro immediato impatto e ritorno economico, e garantire la continuità degli investimenti nella ricerca, avremo perso una enorme occasione. Questo per evitare di svegliarsi un giorno in un paese che ha perso le sue conoscenze, anche quelle dirette, dal basso, e non ha più un sistema e delle professionalità che possano preparare, mitigare e rispondere agli eventi che la natura ci presenta.

In un recente studio pubblicato sulla rivista Journal of Maps e focalizzato proprio nell’area interessata dal terremoto, il Dr. Carlo Tansi (Ricercatore Cnr ed ex Direttore della Protezione Civile in Calabria) e coautori hanno posto l’accento sulla necessità di avere della mappe di rischio aggiornate, utili per pianificare e ridurre gli elementi fondamentali che determinano il rischio franoso e sismico.

Nel loro studio, Tansi et alii riportano che tra il 1981 e il 2023 nell’area di studio si sono verificati più di 4000 terremoti, con 11 che hanno registrato una magnitudo superiore a 4. Tra questi, gli eventi più forti sono stati due terremoti di magnitudo di 4.7 verificatisi nel 1988 e nel 2023, a cui si aggiungono due eventi registrati a fine maggio e quest’ultimo. Data la sua intensità, il terremoto dell’1 agosto è stato nettamente avvertito in tutte le province calabresi fino alle vicine regioni e allo stretto di Messina.

Questo aspetto richiama l’attenzione sul progetto di costruzione del ponte sullo stretto e ci ricorda che la Calabria è una zona sismicamente attiva in cui i terremoti non sono eventi straordinari, ma parte fondamentale della natura della regione legata alla sua storia geologica.

Geologicamente, l’Arco Calabro non coincide con i limiti amministrativi della regione Calabria, ma si estende fino ai monti Peloritani in Sicilia. Aspetto che ancor di più evidenzia come ragionare di autonomie locali in ambiti naturali è riduttivo.

Discutere di grandi opere senza considerare in modo appropriato il contesto geologico e i rischi ad esso legati, come ad esempio l’impatto sulle comunità locali e su un precario assetto idrogeologico, rischia di ridursi solo a propaganda e interessi economici. Rilasciare energia tramite i terremoti rappresenta una valvola di sfogo per il sistema terra. Il loro manifestarsi periodico rappresenta un segnale che ci aiuta a ricordare che questi eventi sono la normalità e tocca a noi trovare l’equilibrio per conviverci.

Ridurre il rischio che questi eventi naturali, vitali per il nostro pianeta, producano effetti devastanti sulla vita delle persone è dovere della politica. Sostenere un sistema paese fatto di ricerca e conoscenze sviluppate e trasmesse alle nuove generazioni e alle popolazioni locali dalle università e centri di ricerca è l’unico modo.

* Ordinario di Geologia, Royal Holloway, University of London
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