Olimpiadi Parigi 2024

Caso Khelif, quale sarebbe la genetica giusta? Probabilmente quella italiana

“Quella lì? Quello lì è un trans!
“Ma se gareggia con le donne…”
“Eh, perché oggi non si capisce più niente. Ma te lo dico io che è trans!”

Da come me lo diceva, da quell’espressione di chi la sa lunga, ho pensato che dietro alla sua aria virile e sprezzante una certa conoscenza del mondo transessuale dovesse avercela. Mah, chissà.
“Se questa è una donna”, mi chiedeva insistente, mostrandomi foto di Imane Khelif col mento squadrato, i capelli addirittura corti e le braccia – incredibile a dirsi per chi fa boxe – forti e muscolose.

Niente: sul suo telefono – e più tardi avrei scoperto anche sulla sua bacheca Facebook – aveva tutte le prove fotografiche, le evidenze scientifiche e le incontrovertibili certezze sul sesso di Khelif. Come mai avesse tante foto del genere sul suo telefono? Quale occulta passione nascondessero? Mah, chissà.

In rete, nell’oracolo onnisciente dei social, altri santificavano il suo stesso credo: quello lì è un trans. Non una trans e nemmeno una persona trans: un trans. Un uomo che combatte contro le donne, un galletto che se la prende con le femmine. “Se la mettesse con un uomo e poi vediamo…” diceva il mio amico a mo’ di sfida, lanciata con impavido slancio su una tastiera, dietro uno schermo, a 2000 km di distanza, commentando un post di ciccioalpha78.

Il problema è che lui e migliaia di altri “temerari qualcuno” (che prima dei social sarebbero stati dei nessuno) sono tantissimi, sono milioni e il baccano che montano è talmente grosso che deve intervenire il Cio a chiarire quello che si sa fin dalle qualificazioni: Imane Khelif è una donna iperandrogina, produce cioè una quantità maggiore di testosterone.

“E questo la rende imbattibile!” replica sempre dal pulpito del suo telefonino zeppo di foto virili il mio amico, senza sapere che sono tante le donne che hanno malmenato e sconfitto l’algerina nella sua carriera.

“E però così il match con Angela Carini, l’italiana, non è ad armi pari” replicano altri, sempre sui social, tra cui la premier (o il premier?) Giorgia Meloni. Lei no, lei non è un “temerario qualcuno” su Facebook.

Allora mi chiedo: cosa vuol dire battersi ad armi pari nello sport?
Perché nel basket io ho visto playmaker alti 180 cm sbattere la fronte contro gli addominali di giganti a cui la genetica ha dato una possanza fisica superiore. Perché nell’atletica ho visto caraibici con cromosomi dalla muscolatura esplosiva ben più dei nostri. Perché nella maratona ho visto kenyoti asciutti come lastre radiologiche avere in sorte un dna capace di sopportare meglio la fatica. Hanno la colpa di essere per natura più alti, più veloci, più resistenti? Quali sono le armi pari nella genetica? Qual è la genetica giusta?

È probabilmente bianca come la maggioranza degli italiani, alta come la maggioranza degli italiani. È lo standard che abbiamo in testa, la visione egocentrica che abbiamo del mondo e che sul mondo pretendiamo di proiettare. Noi, il metro. Noi, sempre nel giusto. Anche dopo il chiarimento del Cio.

Magari il talento scritto nel dna italico non sarà l’altezza, non sarà la forza. Magari invece è proprio quello lì: avere comunque, sempre ragione.