“Avevo vissuto nel New Mexico rurale abbastanza a lungo perché, al mio ritorno, vedessi San Francisco per la prima volta, come accade a un forestiero”, racconta la giornalista Rebecca Solnit in Storia del camminare. Perché, come sottolinea la poetessa Anne Carson, l’unica regola del viaggio è non tornare uguali a quando si è partiti.
Come nel nostos, il ritorno della letteratura greca antica, meta finale dell’eroe è sì fare ritorno in patria, ma in una ciclicità che non sia mai mera ripetizione dell’uguale: chi ritorna, infatti, è cambiato. E può guardare con occhi nuovi la sua stessa terra. Questo dislocamento prospettico, questo essere forestieri nella propria terra, rende l’emigrazione di ritorno, quando sostenuta e incoraggiata, una chiave fondamentale per la resistenza dei “sud del mondo”.
E anche del sud d’Italia, da decenni svuotato dall’emigrazione di chi si ritrova costretto a una perenne diaspora. Il movimento La Tornanza – nato a partire dal saggio La Tornanza – ritorni e innesti orientati al futuro di Antonio Prota e Flavio R. Albano (Laterza edizioni) – prova proprio a offrire una narrazione differente sulla fuga obbligata dal meridione, e racconta le storie e le prospettive di chi, invece, è riuscito a tornare. “La spinta che ha portato alla nascita del progetto è stata proprio la presa di coscienza del fenomeno dell’emigrazione. Non ci interessa scoraggiare l’andare via, ci interessa incoraggiare il ritorno”, spiega Albano a ilfattoquotidiano.it. “L’obiettivo è fare in modo che ci sia un incontro e una collaborazione tra chi rimane e chi torna, entrambi esempi di forza e resilienza”.
Secondo una proiezione pubblicata nell’ultimo rapporto dello Svimez, che fotografa il presente e il futuro del Mezzogiorno, da qui al 2080 la popolazione a sud del Lazio potrebbe diminuire di 8 milioni di residenti: le regioni del sud avranno quindi quasi la metà degli abitanti di oggi. Negli ultimi venti anni, invece, i residenti in meno sono già 1,1 milioni. Una cifra enorme, che sembra condannare questi territori allo spopolamento e all’invecchiamento.
Per questo è importante, secondo La Tornanza, raccontare la storia di coloro che hanno invertito la rotta, e che dopo aver studiato e lavorato all’estero, sono riusciti a ritornare nella propria regione e ora provano a partecipare attivamente allo sviluppo del territorio. “Noi lavoriamo con la divulgazione e la sensibilizzazione, creiamo contenuti e mostriamo esempi che ispirino e inneschino un circolo virtuoso”, spiega Albano. Come con il progetto FAME (Food, Art, Move, Energy), un movimento culturale in cui le comunità lavorano attraverso una visione comune che unisce agricoltura, turismo, artigianato e commercio, o come nella Teoria dell’innesto, che pone al centro del dibattito socio-territoriale i borghi, intesi come una via di ricostruzione sociale e culturale.
Il dibattito si sviluppa anche grazie a un podcast, dove il fenomeno della “tornanza” viene raccontato da coloro che hanno vissuto in prima persona l’esperienza. Una volta a settimana un “tornante” racconta la sua storia: da dove è partito, dove ha vissuto, dove è tornato. Ma anche le ragioni di questa scelta e i suoi obiettivi. Il movimento inaugurato dal manifesto di Prota e Albano organizza inoltre eventi dal vivo, i Tornanza festival, dibattiti e monologhi pubblici che permettono di condividere le storie, le esperienze e soprattutto le idee dei protagonisti di questa migrazione di ritorno.
Il primo evento si è tenuto lo scorso 28 giugno, a Padula, in Campania, e a breve ce ne saranno altri, anche in collaborazione con le Università. Il 17 settembre a Potenza, poi il 20 settembre a Matera e il primo ottobre a Bari. “I Tornanza festival sono luoghi d’incontro itineranti come i podcast e come questi ultimi servono a far conoscere il progetto”, hanno spiegato gli ideatori.
A questi luoghi d’incontro itineranti si aggiungono, inoltre, gli hub territoriali. I primi apriranno a settembre a La Certosa di Padula in Campania e a Gravina in Puglia. In parallelo, da ottobre partiranno anche i primi corsi di formazione: “L’academy dovrebbe riuscire a costruire un percorso formativo di autoimprenditorialità”, commentano i fondatori del progetto.
“Intanto i nostri partner lavorano per rendere i territori più attraenti e più adatti al lavoro contemporaneo, ad esempio installando reti internet ultraveloci”, racconta Albano. “Affinché questo movimento di ritorno si avvii è infatti necessario investire sulla tecnologia e sul ridurre alcuni gap territoriali ancora esistenti, e con questo obiettivo si stanno attivando anche le singole regioni”. Con la speranza che alle iniziative dei singoli, e ai progetti virtuosi come quelli della Tornanza, si unisca sempre di più il sostegno strutturale della politica. Perché la scelta di tornare non sia un’eccezione, ma una possibilità concreta.