È impressionante quanto un’antica mummia egizia sia simile al dipinto “L’urlo” di Edvard Munch. Il motivo di questa particolare espressione, rimasta immutata da circa 3.500, è rimasto a lungo un mistero. Ora uno studio condotto a un team di scienziati egiziani suggerisce che la donna sia morta urlando in preda all’agonia. I risultati del lavoro sono stati pubblicati sulla rivista Frontiers in Medicine.
La mummia è stata scoperta nel 1925 in una bara di legno sotto la tomba di Senmut, un importante architetto durante il regno del faraone donna Hatshepsut. Si stima sia stata sepolta circa 3.500 anni fa e che non è la sola a trovarsi vicino al faraone donna. Nel sito vicino a Luxor, gli archeologi hanno scoperto anche una camera funeraria per la madre di Senmut, Hat-Nufer, oltre a varie sepolture individuali dei suoi parenti. “Sebbene sulla mummia urlante non sia stato registrato alcun nome, è probabile che fosse un membro stretto della famiglia che sarebbe stato sepolto per condividere il luogo di riposo eterno della famiglia”, spiega Sahar Saleem, professoressa di radiologia presso l’Università del Cairo. Attraverso l’analisi TAC, Saleem e la sua collega Samia El-Merghani hanno “sezionato virtualmente” la mummia.
Tramite l’analisi della diffrazione dei raggi X le studiose hanno anche esaminato la pelle, i capelli e la lunga parrucca nera e hanno notato che la mummia era ben conservata. Dalle stime effettuate risulta che la donna fosse alta circa 1,55 metri quando era viva. Le scansioni TC hanno offerto ulteriori dettagli, rivelando che è morta a circa 48 anni d’età e che aveva una lieve artrite, anche alla spina dorsale.
Tuttavia i ricercatori non hanno trovato alcun segno di incisione per l’imbalsamazione e tutti gli organi erano ancora all’interno della mummia. “Per me è stata una sorpresa, poiché il metodo classico di mummificazione nel Nuovo Regno (1550-1069 a.C.) prevedeva la rimozione di tutti gli organi tranne il cuore”, dice Saleem. Sebbene lo studio affermi che queste variazioni nella mummificazione fossero spesso più frequenti nelle classi medie e povere, Saleem afferma che non sembra essere stato questo il caso della donna urlante.
I dettagli suggeriscono infatti che la donna non solo è stata sepolta con due anelli a forma di scarabeo in argento e oro, ma che tra i materiali per l’imbalsamazione sono stati usati anche resina di ginepro e incenso, costosi ingredienti importati che potrebbero aver contribuito alla conservazione del corpo.
Le analisi hanno rivelato la presenza di ginepro e henné sui capelli della donna, mentre la parrucca è stata realizzata con fibre di palma da datteri intrecciata e presentava tracce di ginepro e incenso, nonché vari minerali, forse, suggerisce Saleem, per irrigidire le fibre e conferire loro un colore nero “giovanile”.
I ricercatori suggeriscono che i risultati non solo offrono spunti sulla mummificazione, sulla fabbricazione di parrucche e sull’antico commercio di materiali per l’imbalsamazione, ma indicano anche che è improbabile che la bocca aperta della donna sia dovuta a imbalsamatori negligenti che hanno trascurato di chiuderla. Il team ipotizza invece che l’espressione della donna possa essere dovuta a una rara e immediata forma di rigor mortis.
“Abbiamo ipotizzato che la ragione di questa bocca aperta potrebbe essere dovuta a una morte dolorosa o a stress emotivo e spasmi cadaverici che hanno congelato il suo viso fino all’aspetto che aveva al momento della morte”, spiega Saleem. “Gli imbalsamatori non sono stati in grado di chiudere la bocca e hanno mummificato il corpo contratto prima che si decomponesse o si rilassasse, preservando la sua bocca aperta dopo la morte”, aggiunge.
Tuttavia la causa della morte rimane poco chiara. Alcuni esperti hanno ipotizzato che l’espressione urlante potrebbe essere il risultato di procedure di sepoltura o di cambiamenti successivi alla morte. Ma Salima Ikram, illustre professoressa universitaria presso l’Università americana del Cairo, non è convinta di questa ipotesi. “Non credo che questo spasmo fosse qualcosa che l’imbalsamatore avrebbe cercato di conservare per l’eternità”, dice. Quindi penso che l’espressione sia qualcos’altro”, sottolinea, aggiungendo che il processo di essiccazione durante la mummificazione dura 40 giorni. “Sicuramente avrebbero potuto sistema i suoi lineamenti”, ipotizza Ikram.
La stessa esistenza di spasmi cadaverici viene messa in discussione, in quanto non sembrano esserci casi precedenti convincenti. Sebbene rara, infatti, la donna non è l’unica mummia “urlante”. Saleem e colleghi hanno precedentemente studiato il cadavere di quello che si pensa essere il principe Pentawere, figlio del faraone Ramesse III che era coinvolto in un complotto per uccidere suo padre. “Il corpo di Pentawere è stato appena imbalsamato, il che potrebbe indicare che gli imbalsamatori trascurarono di tenergli la bocca chiusa, probabilmente come punizione, facendolo urlare per l’eternità”, spiega Saleem.
Anche i resti della principessa Meritamun, che si ritiene fosse la sorella del re Ahmose, che regnò dal 1550 al 1525 a.C. circa, presentano questa particolare espressione. Saleem e i suoi colleghi affermano che studi precedenti suggeriscono che Meritamun sia morta per un infarto improvviso. “La bocca spalancata era probabilmente una caduta naturale della mascella post-mortem, mantenuta a causa di una contrazione muscolare post-mortem, il rigor mortis, che ha impedito agli imbalsamatori di chiuderle la bocca”, conclude Saleem.
Valentia Arcovio