Andiamo oltre il caso Carini-Khelif e poniamoci due domande. La prima: l’Italia ha mai vissuto un’Olimpiade più polemica e tormentata di Parigi 2024? La seconda: davvero ce l’hanno tutti con noi?
Risposta alla prima questione: no, non si è mai vista un’edizione dei Giochi così tormentata come quella attuale per la squadra azzurra. La tempesta perfetta di questa estate caldissima è stata scatenata da una serie di fattori: l’enorme attesa, lo sbandierato tentativo di superare il record delle 40 medaglie conquistate a Tokyo, la voglia di mettersi alle spalle il flop del calcio all’europeo di Germania, la sede in un paese come la Francia con la quale stiamo vivendo uno dei momenti più divisivi della storia, la strategia molto chiara della destra italiana di mettere pesantemente le mani sullo sport, il clima generale di esaltazione nazionalistica che si respira nel paese – verrebbe da dire, “ma de che??” -, un certo isolamento del presidente del Coni Giovanni Malagò, sempre più in difficoltà con l’establishment meloniano. Nessuno come noi. Anche altre nazioni hanno protestato, ma sono stati casi circoscritti, legati soprattutto alla questione delle giurie dove, obiettivamente, ci sono da rivedere molte cose, in particolare in quelle discipline meno reclamizzate e più lontane dalla luce dei riflettori. Il CIO non è un’organizzazione no profit. Non salva vite in mare. Non organizza campi profughi. È una potentissima e ricchissima multinazionale dello sport, dove corruzione e affarismo dominano la scena da sempre.
Il caso Italia va però oltre tutto questo. C’è la sindrome di un paese che si sente accerchiato e vede nemici dappertutto. Si sta riproponendo, nello sport, lo scenario della politica. Italia ormai isolata in Europa e nessuno dei nostri regnanti che si ponga la domanda: sono gli altri che ci hanno messo all’angolo, o siamo noi, con le nostre scelte, che si siamo autoesclusi? Sicuramente, in questo momento l’Italia gode di simpatie limitate: gli alleati sovranisti, qualche paese sparso nel mondo con il quale sono in corso business importanti – con l’Algeria di Khelif c’è un importante accordo per la fornitura di gas -, l’Argentina di Milei, i trumpisti d’America. Uscito dalla scena il conservatore Sunak, è da rivedere anche l’asse con la Gran Bretagna, dove ora governano i laburisti. Siamo all’angolo, inutile girarci intorno, ma tutto questo non giustifica il senso di accerchiamento. Non è vero che ce l’hanno tutti con noi. È vero, semmai, che facciamo di tutto per alienarci le simpatie: le proteste reiterate, le sceneggiate, l’intrusione della politica – mai visto in passato un premier che si è tuffato nei Giochi come Giorgia Meloni -, i lamenti, le accuse.
E’ il metodo “io so Giorgia” esteso a tutte le componenti. E’ sempre colpa degli altri. Mai un briciolo di autocritica. Funziona in un paese meraviglioso, ma disgraziato come l’Italia, dove le basi della democrazia sono messe a soqquadro dalla destra al potere, ma non funziona nel mondo dove, al netto delle porcherie che regnano un po’ ovunque, non si vola così bassi. Difficilmente supereremo le 40 medaglie di Tokyo, anche se sperare, ovvio, è lecito. Ma sappiamo già quale sarà la giustificazione della propaganda di regime: hanno remato contro di noi. Poi, a bocce ferme, dietro le quinte comincerà la resa dei conti e ci sarà da divertirsi. Altro che Olimpiade.
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