Cronaca

“Le prigioni libiche sono disumane, l’unica soluzione è pagare. Sennò muori”: i racconti dei migranti salvati dalla nave di Emergency

Le condizioni delle prigioni libiche non sono umane. Bevevamo l’acqua da terra perché non ce ne davano. Ci davano mezzo pezzo di formaggio e un pezzo di pane al giorno. Giusto per non morire di fame. A volte sparavano in aria con i kalashnikov per farci capire che potevano spararci quando volevano. Ci trattavano come animali”. Y. arriva dalla Siria. È scappato dal suo paese a causa dalla guerra. E dopo aver raggiunto la Libia, per tre volte ha provato ad attraversare il Mediterraneo. Ma per tre volte è stato respinto e riportato sulle coste libiche. “Lì la situazione è molto brutta sia per colpa del governo sia per colpa dei trafficanti. Per loro è tutto un business. La prima volta ho pagato i trafficanti per venire in Europa. Hanno preso i soldi, ma ci hanno portato in mezzo al deserto. Lì ci hanno consegnato al governo libico. Ci hanno messo in prigione e ci hanno chiesto dei soldi per poter essere liberati”. racconta Y. dal ponte della Life Support, la nave di Emergency che lo ha salvato insieme ad altre 40 persone in acque internazionali nelle prime ore del mattino del 29 luglio. Oggi sorride e pensa al suo futuro. In Siria faceva il pasticciere, vorrebbe continuare il suo lavoro anche in Europa.

Accanto a Y. c’è un uomo di 44 anni, sempre siriano. Faceva il muratore in Siria. Poi è dovuto scappare in un campo profughi in Giordania. Anche lui ricorda con fatica i giorni passati in Libia. “Sono stato incarcerato 4 o 5 volte in Libia. Mi hanno messo in un hangar con 2mila persone, non ci hanno dato da mangiare. Ho dovuto vendere la mia casa in Siria per avere i soldi per poter uscire dalla prigione”. È la seconda volta che tenta di raggiungere l’Europa in barca. “La prima volta siamo stati sulla barca per dieci ore, poi la guardia costiera libica ci ha riportato indietro”. La Libia non è un porto sicuro per i migranti. Eppure soltanto pochi giorni fa, da Tripoli, il ministro Piantedosi e la presidente del Consiglio Meloni hanno ribadito l’importanza degli accordi con il governo libico. E al 27 luglio, secondo le statistiche di Iom Libia, 11.651 persone sono state intercettate e riportate in Libia mentre provavano ad attraversare il Mediterraneo. Tra questi c’è anche B. Arriva dal Bangladesh. Racconta che per spostarsi da un distretto all’altro, le persone in movimento devono fare delle analisi del sangue. Epatite C, Hiv. “Se non sei a posto, ti lasciano lì e non ti fanno passare”. E poi bisogna pagare 8-10mila euro. “Altrimenti ti picchiano, ti bruciano la pelle, se non paghi la tua vita è finita”. In Libia “tutto è mafia” dice O. un ragazzo egiziano, poco più che ventenne. Ha lasciato una moglie incinta a casa per provare a dare un futuro alla sua famiglia. “In Libia l’unico modo per sopravvivere è scappare, oppure pagare, altrimenti muori lì”.