Tommaso Cassissa (meglio conosciuto sui social come Tommy Cassi) ha fatto della comicità il suo tratto distintivo, trasformandola in uno strumento per raccontare e sottolineare i disagi della sua generazione. Non ha mai smesso di farlo. Neanche adesso che è passato dal piccolo al grande schermo.
È protagonista, infatti, di “Un oggi alla volta”, un film – per la regia di Nicola Conversa e disponibile nelle sale dallo scorso 25 luglio – che, a metà tra commedia e dramma, ricorda ai giovani (ma parla a tutti) che non si è mai in ritardo e non esiste un tempo giusto. E che forse, vale ancora la pena amare.
“Sei nato per amare in un mondo dove tutti vanno di fretta, in un mondo dove forse tutti hanno paura di dirselo”, è la frase che racchiude il senso del film. Oggi amare fa paura?
Purtroppo sì e non solo amare. Credo che questo concetto si possa estendere all’essere sensibili, dare importanza ai sentimenti e non rinnegarli. Oggi sembra che il mondo funzioni solo se tutti vanno veloce. Non c’è spazio per fermarsi, capire come si sta davvero e come stanno gli altri. La società sta andando verso la direzione opposta, per cui sta a noi e alla nostra coscienza decidere come vivere.
Il film è dedicato a chi si sente in ritardo, in una società in cui tutti corrono freneticamente. Tu ti sei mai sentito in ritardo?
Assolutamente si. Quando ero più piccolo, mi sono sentito catapultato in una staffetta infinita: chi avesse corso più veloce, avrebbe vinto. Ho iniziato a registrare video perché sentivo l’ansia di dovermi sfogare e fare qualcosa di costruttivo in breve tempo, costruirmi un futuro. Mi ritengo fortunato perché mi è andata bene e sono molto felice.
Hai esordito da protagonista sul grande schermo con un ruolo in cui hai dovuto coniugare comicità ed emotività. È stato complicato trovare un equilibrio?
Si, perché non avevo mai fatto nulla di simile a un livello così alto. Ho lavorato tanto su me stesso per entrambi i momenti del film. Gestire la transizione è stato difficile: ho preso spunto dalla vita vera, da come io stesso vivo tristezza, ansia, dolore. E poi sono stati fondamentali il supporto e i consigli di Nicola (Conversa, ndr).
Cosa ti ha insegnato Marco, il tuo personaggio?
A cercare di essere più impulsivo, seguire più i sentimenti che il cervello e non agire per soddisfare la società. Mettersi a nudo e togliersi le maschere può fare male, ma permette di capirsi a fondo. Le persone ti amano per quello che sei.
È stato difficile interpretare un ragazzo distante dal mondo del web, per te che su internet ci lavori?
È stato bello. Oggi siamo un po’ schiavi di internet e nutro molta stima e grande rispetto per chi non usa i social. Penso sia libero da molte dinamiche, sicuramente più di me.
Al di là della tua professione, che rapporto hai con i social?
Cerco di non confonderli con la vita vera. La maggior parte delle nostre emozioni ed esperienze non sono lì sopra. I social sono un mezzo, uno strumento che si usa per lasciare un’idea, mettersi in mostra. Tutto ciò che proviene dal web e ha a che fare con l’ego, i numeri, la fama e i soldi non può e non deve essere un fine.
Ogni tanto senti il bisogno di allontanarti dalle varie piattaforme?
All’inizio usavo i social per sfogo. Oggi, se non ho niente da dire utilizzando questi mezzi, sento la necessità di staccare la spina e non curarmi di quello che succede online per più tempo possibile. Cerco di evitare i contenuti vuoti ed è una cosa che dovrebbero fare tutti. Ti rendi conto che la vita vera è un’altra.
A proposito di social, hai trovato nella comicità online una formula vincente per raccontare i disagi dei giovani. Credi che ci sia abbastanza attenzione ai problemi della tua generazione?
Credo ci sia molta attenzione nella misura in cui si può fare notizia e portare qualcuno a vendere prodotti, dati, news. È pur sempre un inizio e qualcosa si sta muovendo. La mia generazione viene spesso strumentalizzata per mandare messaggi politici, sociali e per tornaconti personali di altri. L’importante è accorgersene e far luce su determinati argomenti. Un giorno saremo noi a dover agire nel modo giusto nei confronti dei giovani del futuro.
I fan hanno imparato a conoscere Tommy Cassi sorridente, ironico, simpatico. Hai avuto momenti di sconforto durante la tua avventura sul web?
Certo, ma il web è sempre stato una scappatoia utile. Mi ci rifugio quando sto bene o ho qualcosa da dire. Non lo uso mai per buttarmi giù. Faccio sempre in modo di usare i social in maniera costruttiva e di fare ironia su qualcosa che ho già metabolizzato nella vita vera, magari con un pianto. È importante non confondere il reale con il virtuale.
Il pandoro-gate ha gettato alcune ombre sul lavoro dei content creator. Come sta il tuo mondo?
Sta diventando sempre più serio, nel senso che c’è più attenzione. Fino a oggi, però, è poco regolamentarizzato. Mi dispiace che vi sia stato puntato un faro solo in seguito a vicende negative, ma in Italia funziona così. Io ho cercato sempre di comportarmi nella maniera più professionale possibile e dal mio punto di vista questa attenzione è positiva. Se mai un giorno sarà un mondo più strutturato, ne sarò contento.
Cosa risponderesti a chi, sul web, si indigna per i regali che gli influencer ricevono dalle aziende in cambio di una storia, un post o un reel?
Dipende da cosa fai e come lo fai. Il fine ultimo di qualsiasi sponsorizzazione è il pubblico: se il pubblico reagisce male qualcuno sta sbagliando, l’influencer o il brand. Siamo bombardati da spot da tutti i punti di vista, eppure la gente continua a lamentarsi. Fare pubblicità bene è difficile. Nel momento in cui l’azienda regala gadget perché non sa come funziona questo mondo e l’influencer pubblica storie e video a caso senza pensare a chi, dall’altra parte ascolta, allora è un problema. Nelle trovate di marketing dove c’è più serietà, tutto funziona per il meglio.
Tommy Cassi è capace di vivere un oggi alla volta?
Da un po’ di tempo ne ho capito l’importanza e ci provo giorno dopo giorno. Ogni tanto ci riesco ed è bellissimo, ma richiede attenzione e fatica emotiva. Credo sia la chiave di tutto.
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