Un’altra volta rimandato. Per la terza volta negli ultimi tre grandi appuntamenti, sempre dallo stesso avversario, Novak Djokovic. Era stato così anche al Roland Garros (terzo turno) e a Wimbledon (semifinale). La sconfitta di Lorenzo Musetti nella semifinale del torneo olimpico contro il numero 2 del mondo non è una delusione (e come potrebbe mai esserlo, data la rilevanza storica del traguardo raggiunto), ma aiuta a inquadrare nel modo giusto il livello attuale. Per usare una metafora alpinistica, attualmente Musetti è come uno scalatore che ha saputo domare la quota dei sei e settemila metri, ma non è ancora pronto per aggredire un ottomila, ovvero la top 3 della classifica mondiale. Ci vorrà ancora un po’ di pazienza.

Durante la partita contro questo Nole in missione, l’azzurro ha dimostrato ancora le sue enormi doti, ma la stanchezza fisica e mentale si è fatta sentire, e soprattutto l’esperienza in determinati punti chiave. Per esempio, nel secondo set, quando è andato avanti per ben due volte di un break, senza però compiere l’allungo necessario. Un momento che poteva anche ribaltare l’inerzia della sfida. Questa partita quindi è una nuova lezione da aggiungere alle altre, un nuovo mattoncino in quel progetto di top 10 che il carrarino sta costruendo settimana dopo settimane, e che potrebbe essere completato da qui alla fine della stagione. Ed è stato lui stesso a dirlo nel post-gara: “Penso che la partita di stasera sia stata una lezione per me. Devo accettarlo ed essere pronto per domani (oggi ndr) quando avrò anche il supporto e l’amore di tutti gli italiani presenti qui”.

A Parigi, Musetti avrà comunque una seconda chance per non tornare a casa a mani vuote. La finale per il gradino più basso del podio contro il canadese Felix Auger-Aliassime non è soltanto l’occasione per indossare una medaglia di bronzo che l’Italia non vede nel tennis dall’impresa di Uberto de Morpurgo nell’edizione parigina del 1924, ma può rappresentare anche una spinta decisiva per alzare ancora il proprio limite. Qualcosa da spendere in vista del cemento americano, gli Us Open e un assalto al vertice che pare inevitabile. E se dovesse arrivare alla fine una medaglia di legno? Nessun problema, rimarrebbe un torneo olimpico memorabile e la conferma di valere di più della sua attuale posizione al numero 16 nel ranking.

E Nole? Il serbo con questa vittoria spezza il tabù della finale olimpica, dopo i precedenti di Pechino 2008, Londra 2012 e Tokyo 2020, persi rispettivamente contro Rafa Nadal, Andy Murray e Alexander Zverev (casualmente tutti poi saliti sul gradino più alto del podio). Ora manca un solo sforzo per agguantare l’ultimo pezzo del puzzle, riempire l’unica casella vuota della sua bacheca personale. L’oro olimpico per il serbo è qualcosa di desiderato, sognato. Una vera e propria ossessione che in questo 2024 si è posta davanti a ogni cosa, titoli Slam e numero 1 del mondo compresi. Se c’è un modo per riscattare un anno fino a questo molto deludente, è mettersi al collo la medaglia più ambita, anche per scollarsi di dosso il peso per aver mancato la Coppa Davis 2023.

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