La prima regola è: non piangere. Le emozioni non vanno mai palesate, ma tenute dentro finché non esplodono nella rabbia più cieca. La seconda regola è il silenzio: silenzio che vuol dire omertà di fronte alla polizia ma che diventa anche lo strumento per rendere le tue prossime mosse imprevedibili da parte dei rivali. La terza e ultima regola è: vendicarsi sempre. Nonostante i dubbi, nonostante le incertezze. Vendicarsi sempre. Non spezzare mai la catena della violenza fin quando tu stesso non ti ritroverai ad esserne vittima, e a perpetuare la maledizione su chi lascerai dietro di te a soffrire.
L’aspetto più reale e angosciante di queste tre spietate regole, intorno alle quali gira il graphic novel tratto dal romanzo La Lunga Discesa di Jason Reynolds, è che potrebbero essere applicate ovunque. Nei quartieri afroamericani delle metropoli statunitensi così come nei paesini a poca distanza dalla mia Reggio Calabria, quelli martoriati dalle faide e decimati dalla lupara. Altrettanto preoccupante è rendersi conto che, purtroppo, la storia dalle tinte shakespeariane raccontata nel libro è senza tempo, e che i fantasmi amletici del giovane protagonista si aggirano ancora troppo spesso nelle celle delle carceri minorili ma anche per le strade e nei campetti accanto a cui passiamo ogni giorno.
Il fumetto diventa uno strumento straordinario per asciugare il racconto e renderlo essenziale, con le illustrazioni di Danica Novgorodoff che danno una terza dimensione sognante e poetica alle parole crude e affilate di Reynolds. La musica che sembra di sentire in sottofondo è ovviamente il ritmo incessante del rap: un altro elemento che, al giorno d’oggi, rende La Lunga Discesa un’opera assolutamente trasversale dal punto di vista geografico.
Tratto dal romanzo bestseller celebrato in maniera corale dalla stampa e dagli esperti d’oltreoceano e vincitore di riconoscimenti tra cui il Coretta Scott King Honor, istituito in onore della vedova di Martin Luther King, il libro arriva oggi in Italia per Tunuè in un’edizione a fumetti ricca e accuratissima, con la bella postfazione del rapper Amir Issaa che aggiunge un’ulteriore prospettiva alla lettura.
Per quanto mi riguarda, ne sono stato colpito già dalla dedica iniziale ai giovani detenuti. Nei miei laboratori di scrittura dentro le carceri minorili ho spesso riconosciuto queste stesse interiorità sofferenti, questa stessa incapacità di spezzare il cerchio della violenza. Soltanto lavorando insieme a questi ragazzi, non scordandoci di loro, cercando di creare e di dare percorribilità a una vera alternativa potremo aiutarli prima che la loro lunga discesa arrivi alla consueta, tragica, conclusione.