«Ho sparato a due tifosi del Peñarol» mi rispose, facendo il gesto della pistola con entrambe le mani. Tirò fuori il telefono e mi mostrò delle foto di lui in cella, nelle quali perlopiù sorrideva e faceva il gesto della vittoria. Anche un suo amico, Martin, era appena uscito dal carcere. Camminava con una gamba rigida, dopo aver passato nove anni dentro per rapina a mano armata. Erano tutti fatti di crack o cocaina. Uno della barra, gli occhi sbarrati e le pupille dilatate, mi porse un sacchetto di plastica con dei pezzetti di carta dentro. Lsd. Quello era probabilmente il posto peggiore per prendere un acido, perciò rifiutai educatamente.

Fra gli ultras. Viaggio nel tifo estremo, di James Montague (traduzione di Leonardo Taiuti; 66thand2nd), è uno stupefacente, coraggioso e originale reportage “curvaiolo” in giro per il mondo di una delle massime autorità per quanto concerne il giornalismo legato a calcio e società. L’autore inglese, sorta di Aidan Hartley (o Ryszard Kapuściński, a seconda dei gusti) da stadio, si muove tra Uruguay, Argentina, Brasile, Italia, Balcani, Turchia, Indonesia, Stati Uniti e molti altri posti sparsi per il globo, per tentare di mostrare le diverse facce della medaglia del tifo estremo, e di svelare gli aspetti più nascosti e torbidi di una cultura fascinosa nata dai margini del vivere quotidiano, un vivere spesso imposto dall’alto.

E così, tra i melanconici nazionalisti serbi orfani del sanguinario Arkan, gli anarcoidi Çarşı del Beşiktaş disposti a “unirsi” con gli acerrimi rivali di Galatasaray e Fenerbahçe per formare l’Istanbul United a difesa di Gezi Park (io c’ero e garantisco che fu qualcosa di memorabile, storico), hooligan indonesiani armati di machete pronti a uccidere l’autore in mezzo a un’autostrada, ultras laziali in odor di Italia littoria, tifosi ucraini anti-russi, birre, canti, abbracci, trasferte interminabili, gioie, dolori e senso di appartenenza, James Montague traccia un percorso indimenticabile, ben scritto, senza mai cadere nel facile tranello del volersi schierare da qualche parte.

Fra gli ultras. Viaggio nel tifo estremo è un libro bellissimo, vero, seppur lo stesso autore avverta: “È un mondo dal quale non ho mai potuto essere davvero accettato. I giornalisti sono nemici, al pari della polizia. i gruppi di tifosi organizzati sospettano sempre di chi vuole scrivere di loro”. Onesto, mai sopra le righe, Quello che un reporter deve essere. Libro consigliatissimo.

Ci si fida di sconosciuti, perché si condividono i sentimenti che provano. Si beve con gente che non si vedrà mai più perché si sa che sono dei nostri. Sono uomini e donne che si emozionano, amano, lottano, mettono a repentaglio grandi cose per i propri colori, per la propria squadra e per la propria città. Da queste persone ho ricevuto alcuni degli abbracci più sinceri e con loro mi sono scambiato certi sorrisi da far impallidire gli innamorati.

Balkan Football Club, di Gianni Galleri (Bottega Errante Edizioni), è il sunto di dieci anni di appassionati viaggi dell’autore tra Romania, Bulgaria, Albania e ex Jugoslavia che racconta la vita dei tifosi di questi territori. Seppur le disertazioni di Galleri su ciò che vede (e descrive) in contesto extra-curvaiolo lascino il tempo che trovano (soprattutto per chi ha vissuto in quelle nazioni), dando una sottotraccia quasi da diario interrail fine a se stesso, le parti dedicate al tifo (e sono la maggioranza) sono molto interessanti e sviscerano tantissime curiosità e illuminano parecchie linee d’ombra di una subcultura originale e nient’affatto scontata.

Da Zagabria a Bucarest, dal lago di Ocrida a Cluj, da Sofia a Maribor, i racconti narrano di passione, sudore, sangue, di rakija, ćevapčići, di amori incondizionati verso i colori rappresentati da una squadra di calcio, poco importa in quale serie essa giochi. Sono racconti di appartenenza. Di dignità, controsensi e orgoglio. Una piacevole e riuscita rappresentazione dell’animo umano, popolare, balcanico.

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