Il più grande mare chiuso della terra sta morendo, insieme al suo ecosistema unico, creatosi per il lunghissimo isolamento dagli oceani. Gli scienziati prevedono che le acque del Caspio si abbasseranno di quasi 4 metri nel prossimo decennio, incidendo in particolare sui fondali settentrionali, già bassi di natura.

Come riporta The Astana Times, negli ultimi 15 anni nella sola parte kazaka della riserva d’acqua si è osservato un declino del 7,1% e una riduzione della superficie da 113,8 chilometri quadrati del 2008 a 105,7 del 2023. Lo spettro del lago di Aral incombe. Uno studio pubblicato a ottobre su Communications Earth & Environment ha stimato per fine secolo cali di 8-14 metri. “Un declino del livello del mare di questa entità si risolverà con il completo disseccamento del bacino caspico settentrionale e avrà effetti avversi sugli ecosistemi, sulle infrastrutture costiere, sulla navigazione, sulla biodiversità e sull’economia di tutta l’area del Caspio”, scrivono gli studiosi. Infatti questo mare è vitale per le cinque nazioni circostanti (Russia, Turkmenistan, Kazakistan, Azerbaijan e Iran) oltre che per i collegamenti mondiali tramite canali che conducono ai mari Nero, Baltico e Bianco, e per il Middle Corridor, che mette in comunicazione Cina ed Europa.

Anche la guerra vuole acqua – I principali immissari del Caspio sono i fiumi Volga e Ural, la cui portata è diminuita per l’aumento delle temperature e la riduzione del regime delle piogge. Il resto lo fanno i crescenti prelievi delle nazioni costiere, anche per rimediare alla penuria di acqua potabile in alcune zone, per esempio nella regione kazaka di Mangystau – perciò il governo ha progettato la costruzione di nove impianti di desalinizzazione. E poi ci sono le numerose dighe costruite dai russi sull’Ural e sul Volga.

Secondo uno studio del 2023 pubblicato su European Water Management Online, “la causa principale della degradazione del Volga è strettamente connessa con le dighe, le acque di scarico e l’irrigazione, che riducono la fornitura di acqua potabile, limitano la pesca e la biodiversità”, scrivono gli autori dello studio, evidenziando dei problemi che si ripercuotono inevitabilmente sul Caspio. Basti pensare per esempio che tramite il Volga giungono al mare un’enorme quantità di acque reflue. E se tutto ciò non bastasse, ecco che ci mette lo zampino la guerra, seppure indirettamente. “Le sanzioni occidentali hanno portato a uno sfruttamento agricolo intensificato e a un maggiore uso di risorse idriche nella regione, nel tentativo da parte della Russia di compensare il mancato import”, scrive Zaur Shiriyev, accademico e ricercatore azero esperto di relazioni internazionali, nella sua analisi pubblicata il 23 luglio sulla rivista digitale Carnagie Politika, pubblicazione a cura dei massimi esperti su Russia e paesi limitrofi, con sede a Berlino. Il fatto è che in questo lago salato c’è la Flottiglia del Caspio, da cui i russi lanciano missili verso l’Ucraina.

Moria di foche e di pesci – Poco dopo l’invasione dell’Ucraina, nella primavera del 2022, iniziò una moria di foche, gli unici mammiferi del Caspio, già sulla lista rossa degli animali in pericolo. Una mortalità senza precedenti, denuncia Carnegie Politika, che enumera poi molti altri casi: 170 carcasse di foche sulle coste kazake a novembre; a dicembre, migliaia di cadaveri sulle coste della repubblica russa del Dagestan, la più grande moria in anni e altre centinaia vicino a un’isola turkmena.

“La Russia affermò che i mammiferi del Dagestan erano morti per cause naturali. Tuttavia, a febbraio 2023 l’indagine del Kazakistan attribuì le morti delle foche a polmonite, dovuta al calo immunitario e alle crescenti infezioni virali causate dall’inquinamento ambientale”, spiega Shiriyev. Non furono però condotti studi per capire se la causa fosse il carburante dei missili. “Ma è noto che l’attività militare causa inquinamento e altera la vita marina – osserva l’esperto – Il lancio e l’esplosione dei missili introducono chiaramente inquinanti in mare”.

Oltre al carburante ci sono altre sostanze chimiche capaci di accumularsi nella catena alimentare e di danneggiare animali e habitat. E ci sono pure i rottami dei missili vecchi e difettosi, che cadono poco dopo il lancio, e l’impatto dovuto al rumore e al botto dei lanci, eventi stressanti e capaci di alterare le rotte migratorie, le abitudini riproduttive e alimentari. A inizio luglio, la moria interessò i pesci. “Le morti coincisero con un attacco significativo di missili russi contro l’Ucraina”, osserva lo studioso azero.

Soluzione complessa – Difficile non sospettare che le operazioni militari stiano dando il colpo di grazia al Caspio. Ma comprensibilmente, i Paesi costieri non se la sentono di lanciare accuse contro la Russia. Nel caso, si dovrebbero raccogliere le prove e richiedere un arbitrato internazionale. Altrettanto difficile appellarsi alla Convenzione di Teheran, che consente l’uso del Caspio solo per scopi pacifici, perché secondo gli esperti il trattato potrebbe essere interpretato in modo poco restrittivo.

Certo, l’ideale sarebbe arrivare alla pace, ma quel momento appare molto lontano. A novembre si terrà a Baku, in Azerbaijan, la COP29: probabilmente l’ultima speranza perché la questione venga (forse) affrontata a livello globale. Ma intanto la guerra prosegue.

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