La scomparsa di Emanuela Orlandi è uno dei misteri più oscuri e complessi del nostro Paese. Mentre ci sono tre inchieste aperte per far luce sul caso della 15enne vaticana scomparsa nel 1983, proponiamo una ricostruzione accurata delle prime fasi della vicenda, con audio dell’epoca concessi a FqMagazine in esclusiva da Pietro Orlandi.
Il rapimento
22 giugno 1983. Emanuela Orlandi è scomparsa. Non si hanno sue notizie dalle ore 19 circa. Emanuela è cittadina vaticana. Suo padre Ercole è un dipendente della Prefettura Pontificia, dove lavora come messo papale del Palazzo Apostolico. Gli Orlandi vivono in Vaticano, al secondo piano di un palazzo adiacente a quello della Gendarmeria, nella piazzetta di Sant’Egidio. La famiglia di Emanuela è tra le poche che risiedono tra le mura leonine. Lei è la quarta di cinque figli: Natalina, Pietro, Federica, Cristina. Ha appena finito il secondo anno di liceo al convitto nazionale Vittorio Emanuele II. Il suo talento è la musica, frequenta i corsi di piano, canto corale e flauto traverso all’Accademia di Musica Tommaso “Ludovico da Victoria”, nell’istituto di Sant’Apollinare, a pochi passi dal Senato. La scuola è collegata al Pontificio istituto di musica sacra. Quel giorno, prima di sparire nel nulla, Emanuela esce di casa per andare a lezione con addosso una collanina, tiene in mano la sua sacca di cuoio marrone, da cui sbuca l’astuccio nero che contiene il flauto. Nella sacca ha anche alcuni spartiti musicali, la tessera d’iscrizione alla scuola di musica e l’abbonamento ai mezzi pubblici.
Quello è uno degli ultimi giorni di Emanuela a scuola di musica. Quel pomeriggio ci sono le prove generali di canto per il concerto finale del 29 giugno. Durante la lezione, alle compagne appare particolarmente distratta: continua a pensare a un’offerta di lavoro di uno sconosciuto, che confida alla sua amica Sabrina Calitti. La lezione di canto finisce in anticipo, perché il maestro, Monsignor Miserach, ha un impegno. Emanuela esce dall’aula e subito telefona a casa da una cabina telefonica della scuola di musica. Risponde Federica. Le riferisce che prima di entrare a scuola ha incontrato una persona davanti al Senato che le ha offerto un lavoretto semplice ma ben pagato. Questa è l’unica testimonianza reale di quella sera, confermata da un vigile urbano, Alfredo Sambuco, che si era avvicinato a quella Bmw per chiedergli di spostarla.
Dall’identikit emergerà come un uomo di età tra i trentacinque e i quarant’anni, snello, elegante, con il viso lungo, stempiato. Viaggia a bordo di una Bmw verde tundra. Le ha proposto di distribuire volantini per l’Avon per 375mila lire, durante una sfilata di moda nell’atelier delle sorelle Fontana. Federica le raccomanda di parlarne con i genitori e di non prendere iniziative. Questa persona l’avrebbe aspettata all’uscita per darle del materiale, prima dell’appuntamento di Emanuela con l’altra sorella, Cristina, davanti al Palazzaccio, da lì a poco. Quella sera, Cristina torna a casa da sola. Emanuela non è mai andata all’appuntamento. Dopo quell’ultima telefonata a casa, saluta le sue amiche alla fermata ma Emanuela non sale sull’autobus, intanto è stata raggiunta da un’altra allieva della scuola di musica: bassa, capelli scuri e ricci. Questa “amica” assieme a Emanuela viene vista anche da un’altra ragazza della scuola di musica, Maria Grazia Casini, che si trova a passare da lì. Da quel momento, si perdono tutte le sue tracce. Quella notte, tra il 22 e il 23 giugno, la famiglia Orlandi cade in un brutto incubo.
La stessa sera della scomparsa della ragazza, uno sconosciuto chiama in Vaticano e chiede di parlare urgentemente con il segretario di Stato, cardinale Agostino Casaroli. Ha qualcosa di importante da comunicare, dice. Ma Casaroli è in Polonia con Giovanni Paolo II, e le suore di turno al centralino girano la chiamata alla Sala Stampa, ancora aperta. A chi gli risponde, l’anonimo interlocutore consegna un messaggio importante: Emanuela è stata rapita. A rivelare tra gli altri questo fondamentale passaggio sarà, quasi 40 anni dopo, monsignor Carlo Maria Viganò. La mattina del 23 giugno, il Papa viene raggiunto in Polonia da una telefonata in cui gli dicono del sequestro di Emanuela. Il primo a telefonare a casa degli Orlandi, il 25 giugno, è Pierluigi. Rivela importanti dettagli alla famiglia su Emanuela. Richiama il giorno dopo, risulta ancora più attendibile per i familiari ma si rifiuta di collaborare.
Il 26 giugno a casa Orlandi, prima ancora dell’appello del Papa, erano già arrivati i Servizi Segreti. Uno degli agenti conosce gli Orlandi. Si chiama Giulio Gangi. Alle otto di sera del 26, Pierluigi si fa vivo di nuovo per la terza volta. Dice di avere sedici anni e di trovarsi con i suoi genitori nel ristorante (si sentiva il tipico sottofondo di voci, piatti e posate) di una località marina e che la ragazza che era con Barbara le aveva chiesto se avrebbe suonato il flauto per il matrimonio di sua sorella. Lo zio di Emanuela gli propone un incontro in Vaticano e Pierluigi si mostra sorpreso da questo e gli domanda “In Vaticano? Ma lei è un prete?”. Qualcosa però non torna. Il lessico e la voce non sono quelli di un sedicenne.
Dal 27 giugno gli Orlandi iniziano a registrare le chiamate. La sera ricevono una strana telefonata. Alle sette di sera, chiama un uomo che si presenta come Mario, parla con accento romanesco, afferma di avere trentacinque anni e appare preoccupato di sollevare da ogni responsabilità un amico che lavora per la Avon. Col suo amico lavorano anche due ragazze, una delle quali si fa chiamare Barbara e tornerà a casa, da dove manca da un po’, a settembre per il matrimonio di una parente. Le indicazioni di Mario coincidono con quelle di Pierluigi. Con il senno di poi, questo di Mario e Pierluigi potrebbe essere stato il primo grande depistaggio sulla scomparsa Emanuela Orlandi, come ammetteranno più tardi anche alcuni tra i presunti rapitori della ragazza.
Audio su Mario e Pierluigi (da una telefonata all’avvocato Egidio)