L'INCHIESTA - Sono più di 31 milioni i capi allevati contemporaneamente (quasi sempre in modo intensivo), tra polli, galline ovaiole, tacchini, suini, bovini e bufalini. Almeno tre per abitante. E si arriva a 18 nella provincia di Mantova
Per ognuno dei circa dieci milioni di abitanti della Lombardia, neonati compresi, ci sono almeno tre animali allevati, che arrivano a 18 nella provincia di Mantova, a 13 in quella di Cremona e più di 9 in quella di Brescia. Sono più di 31 milioni, infatti, i capi allevati contemporaneamente, solo tra polli, galline ovaiole, tacchini, suini, bovini e bufalini ed escludendo gli allevamenti familiari e quelli meno impattanti. Utilizzando ed elaborando i dati pubblicati sul sito della Banca dati nazionale dell’Anagrafe Zootecnica istituita dal Ministero della Salute, ilfattoquotidiano.it racconta con quanti animali ‘convive’ effettivamente ogni singolo cittadino (spesso senza neppure saperlo). Che effetti hanno questi numeri? Dall’inquinamento delle falde all’alterazione dell’equilibrio dei fiumi, dovuti entrambi ai rilasci di nitrati nelle acque. Dalle emissioni odorigene a quelle di metano, protossido di azoto e ammoniaca che, liberata in atmosfera, si combina con altri gas generando polveri sottili. Lo smog che soffoca Milano, ma anche province come quella di Cremona. Sono alcune delle conseguenze della forte concentrazione di allevamenti, molti dei quali intensivi, in Lombardia, dove si sono raggiunti numeri da guinness dei primati (negativi). A Brescia c’è il record di capi (oltre 12 milioni), ma rispetto alla densità di animali allevati sul territorio è Mantova al primo posto, con 3.249 capi in media allevati per ogni chilometro quadrato, seguita da Cremona, Brescia, Lodi e Bergamo. Sono quasi 9mila gli allevamenti – intensivi e non – presenti nelle dodici province della regione, escludendo le strutture più piccole e familiari. Ad oggi, di fatto, non c’è una normativa che chiarisca cosa si intenda per allevamento intensivo. In alcuni Comuni si arrivano ad allevare nello stesso periodo, tra i vari capannoni disseminati sul territorio, fra i 500mila e il milione di capi.
La mappa provincia per provincia
Gli animali con cui convive ogni cittadino – Si tratta di numeri sottostimati, per una serie di ragioni. Oltre all’esclusione degli allevamenti più piccoli, ilfattoquotidiano.it ha selezionato solamente le specie maggiormente presenti in Lombardia. Nella mappa di queste strutture non ci sono, dunque, faraone, oche, pecore, capre, cavalli o asini. Va sottolineato, inoltre, che gli oltre 31 milioni di animali a cui si fa riferimento sono quelli presenti sul territorio in un dato momento e non quelli allevati nel corso di un intero anno, significativamente più alto* (Leggi qui la nota metodologica). Soprattutto nel caso dei polli, dato che in un allevamento si può arrivare anche a 4 o 5 cicli di produzione in un solo anno. Tutto questo accade nella Lombardia dove si continuano ad ottenere autorizzazioni per nuovi capannoni e dove oggi vengono allevati il 48,5% dei suini, il 28% dei bovini e il 17% di galline ovaiole e polli di tutto il Paese, sempre tenendo conto solo delle strutture più impattanti.
Le province con più capi allevati – Nella provincia di Brescia si allevano oltre 12,3 milioni di esemplari delle specie analizzate in 2.733 allevamenti. È vero che si tratta del territorio provinciale più esteso, ma i Comuni bresciani sono montani per oltre il 45 per cento. Se ne deduce che gli allevamenti – specie quelli intensivi o più grandi – sono comunque concentrati nella parte meridionale del territorio che, tra l’altro, resta tra i principali distretti industriali europei. Al secondo posto per numero di capi e allevamenti c’è la provincia di Mantova con 7,6 milioni di capi in 1.697 strutture, nel Cremonese ci sono 4,7 milioni di animali in 1.269 allevamenti e altri 4 milioni di animali si allevano nelle 1.075 strutture della provincia Bergamo. Nella provincia di Lodi, al quinto posto per numero di capi, ci sono più di 846mila animali in 509 allevamenti. Rispetto alla densità di animali sul territorio, però, al primo posto c’è la provincia di Mantova, con i suoi 3.249 capi in media per ogni chilometro quadrato, seguita da quella di Cremona con 2.655 animali e da quella di Brescia con 2.562 capi per ogni chilometro quadrato.
A Mantova si allevano almeno 18 animali per ogni abitante – Un dato che si riflette anche sul numero di capi per ogni abitante: anche in questo caso, infatti, è prima la provincia di Mantova, dove si arrivano ad allevare più di 18 capi per ogni abitante, in provincia di Cremona circa 13 ad abitante, 9,6 in quella di Brescia e cinque in quella di Lodi. Numeri elaborati incrociando quelli della Banca dati nazionale dell’Anagrafe Zootecnica con quelli dell’Istat sulla popolazione della Lombardia. E che fanno comprendere come anche le percentuali nazionali del peso degli allevamenti intensivi sulle emissioni di ammoniaca o di metano, tanto per fare qualche esempio, non descrivono la situazione di particolare emergenza di alcune aree del Paese, dove queste strutture incidono molto di più sulla qualità dell’aria e dell’ambiente. Per Federica Ferrario, responsabile Agricoltura di Greenpeace Italia “la strada è chiara, bisogna ridurre il numero di animali allevati in un territorio ambientalmente fragile come il Bacino Padano e utilizzare i fondi pubblici per aiutare gli allevatori a una transizione in chiave agroecologica del modello produttivo”. Una strada indicata nella proposta di legge presentata a febbraio 2024 da Greenpeace Italia, Isde-Medici per l’ambiente, Lipu, Terra! e Wwf Italia e sostenuta da un gruppo trasversale di parlamentari. L’obiettivi è quello di “fermare con una moratoria l’espansione degli allevamenti intensivi e avviare un piano nazionale di riconversione agro-ecologica del settore zootecnico”.
Ogni specie ha un diverso impatto – Avere i numeri totali degli allevamenti che si trovano in Lombardia dà un quadro della situazione, ma un allevamento di polli non equivale a uno di bovini in termini di impatti. “Nella nostra regione, il problema principale è rappresentato dalla densità di allevamenti bovini e suini” spiega a ilfattoquotidiano.it Damiano Di Simine, responsabile scientifico di Legambiente Lombardia. Si va dal Lodigiano alla provincia di Mantova, da Bergamo alla provincia di Brescia, fino a sconfinare nel Veneto. “In quest’area c’è più di un quarto di tutti gli animali allevati in Italia” sottolinea Di Simine. E questo si rispecchia nei dati sulle emissioni climalteranti (Leggi l’approfondimento sugli impatti degli allevamenti). “Anche gli allevamenti avicoli hanno un loro peso significativo – precisa – anche se in Lombardia non c’è la stessa concentrazione presente in regioni come Veneto, Emilia-Romagna e Marche”. Ogni specie, di fatto, ha un diverso impatto sul territorio. “Se parliamo di emissioni – sottolinea – il pollo è un problema per quelle di ammoniaca e per le emissioni odorigene”. Stesso discorso per il maiale, che in più presenta grossi problemi con la gestione delle deiezioni, prodotte in grande quantità e liquide. “Per i suini, i liquami particolarmente diluiti, il loro stoccaggio e lo spandimento – aggiunge Di Simine – sono fonte di emissioni di ammoniaca (precursore delle polveri sottili), di emissioni climalteranti (per esempio metano e protossido di azoto) oltre a porre un problema di rilasci nell’acqua di nitrati (composti chimici presenti in natura e contenenti ossigeno e azoto, ndr). E questo dà luogo o all’inquinamento delle falde o a fenomeni di eutrofizzazione dei fiumi, con la diminuzione di ossigeno e la moria di pesci”. E poi c’è la questione degli odori: “Se ti muovi dalla Bassa Cremonese alla Bassa Bresciana per chilometri e chilometri senti la stessa puzza. E le emissioni odorigene, insieme alle altre emissioni gassose, sono all’origine di altri fenomeni di inquinamento che, per esempio, danno luogo alla formazione di ozono in estate”. I bovini, oltre a tutto ciò, portano all’emissione di grandi quantità di metano da fonte enterica: “Gran parte del metano generato dagli allevamenti, infatti, deriva dalla digestione dei ruminanti, quindi non dalle flatulenze dei bovini, ma dai rutti”. Gli animali allevati in modo intensivo, poi, richiedono un grande uso di risorse. D’altronde “due terzi dei cereali commercializzati nell’Ue diventano mangime – aggiunge FedericaFerrario di Greenpeace – e circa il 70% dei terreni agricoli europei è destinato a coltivazioni per l’alimentazione animale che richiedono l’utilizzo di enormi quantitativi di acqua”.
Il primato della Lombardia per allevamenti e capi bovini – Escludendo gli allevamenti familiari e con meno di 20 capi, criterio adottato sia per i bovini che per i bufalini, per quanto riguarda i primi la Lombardia con 5.831 strutture è la prima regione in Italia per percentuale di allevamenti (con l’11% delle strutture, seguita dal Veneto con il 9,11%) ed è prima anche per percentuale di capi. In Lombardia si trovano quasi un milione e mezzo di capi, circa il 28% dei bovini allevati in Italia (seguono Piemonte con oltre il 14% dei capi e Veneto con il 13%). E quasi 1,4 milioni negli impianti con più di 100 animali. Brescia è prima per numero di allevamenti (1.675) e per capi (450mila) seguita da Mantova (1.126 allevamenti e 323mila capi) e Cremona (837 allevamenti e oltre 308mila capi). Sulla densità di capi per chilometro quadrato è Cremona, però, al primo posto con 174 capi a chilometro quadrato, seguita da Lodi con 148 capi e da Mantova con 138.
Lombardia prima in Italia per numero di suini allevati – Per quanto riguarda i suini, la Lombardia è al secondo posto in Italia con il 9,5% degli allevamenti (dopo la Sardegna, che è al 44,52%), ma è prima per numero di capi con il 48,5%, seguita dal Piemonte (al 15,82%). Nelle due regioni del Nord Italia, infatti, ci sono più capi nei singoli allevamenti che, quindi, sono più intensivi. Escludendo sempre quelli più piccoli, si calcolano 2.377 strutture con oltre 3,9 milioni di suini, tra maiali e cinghiali (che, però, hanno un ruolo del tutto marginale). In provincia di Brescia ci sono 710 allevamenti con 1,1 milione circa di suini, in quella di Mantova 426 strutture con un milione di suini. Terza è la provincia di Cremona con 322 allevamenti e 865mila suini. Anche in questo caso, andando a verificare i dati sulla densità di capi per chilometro quadrato la classifica cambia: al primo posto c’è Cremona con 488 capi, seguita da Lodi (457) e Mantova (438). “Il problema non è il numero di animali, ma il numero di capi rispetto alla superficie” spiega il responsabile scientifico di Legambiente, Di Simine. Il disciplinare biologico per gli allevamenti fissa un massimo di due Unità di bovino adulto (Uba) per ettaro, che corrispondono a due vacche da latte o due manzi, oppure sei maiali. In Lombardia la media sfiora le tre unità “ma ci sono comuni in cui si va anche quattro o cinque volte questo valore, che è già alto rispetto a quella che è la capacità di gestire i carichi di azoto legati agli allevamenti” aggiunge.
Lombardia seconda regione per allevamenti e capi avicoli – La categoria Gallus Gallus comprende pollame da carne, galline ovaiole, riproduttori e svezzamento. Al 30 aprile 2024 si contano 616 allevamenti con oltre 24 milioni di capi in tutta la regione, oltre mille capi in media per chilometro quadrato. Quasi 11 milioni sono polli da carne. Altri 12 milioni sono galline ovaiole allevate in 232 impianti. Di molto inferiore il numero per gli altri orientamenti: riproduttori (1,1 milione di capi) e svezzamento (4.568 capi). La Lombardia è al secondo posto dopo il Veneto sia per capi che per allevamenti con il 13% degli allevamenti di tutta Italia (il Veneto è a più del 23%) e il 17% di tutti i capi (il Veneto è al 29%). La quasi totalità del pollame da carne e delle galline ovaiole si trova in allevamenti intensivi. Brescia è la provincia che ha più allevamenti (283), seguita da Mantova (103) ed entrambe sono ai primi posti anche per numero di capi (rispettivamente con 9,8 milioni e 5,8 milioni a ciclo), ma per densità di capi sul territorio è Mantova la prima con 2.487 capi in media per ogni chilometro quadrato, contro i circa 2mila di Brescia, che resta alta in classifica ed è anche uno dei principali distretti industriali europei. “Va sottolineato, però, che dagli anni Settanta ad oggi, anche dopo situazioni drammatiche come il disastro del Seveso – commenta Di Simine – le altre industrie hanno dovuto adeguarsi a una normativa ambientale più stringente. Restano colpe storiche relative all’inquinamento del suolo e alle emissioni, penso ai metalli pesanti, ad altri microinquinanti, ai Pfas, ma oggi l’inquinamento che paghiamo in termini di procedure di infrazione e che peggiora la qualità ambientale del Nord Italia e della Pianura Padana è quello legato a polveri sottili, ozono, ossidi di azoto, all’inquinamento dell’aria e dell’acqua. Ed il problema principale è rappresentato dal traffico (in particolare per gli ossidi di azoto, ndr) e dall’agricoltura, principalmente dall’allevamento”.