Circola da diverse ore, tra i miei contatti, un commento su Whatsapp: “Ma avete letto l’intervista a Morgan firmata da Candida Morvillo sul Corriere della Sera?”. L’indignazione di giornaliste e attiviste che si occupano di femminicidio è alle stelle.

Il titolo dell’articolo prometteva abbastanza bene: “Ho detto cose orrende ad Angelica, ma non ero in me, mi stavo disintossicando. Le chiedo scusa”; ma nell’intervista non c’è nessuna autentica presa di coscienza da parte del musicista per i comportamenti che gli sono costati un processo per stalking e diffamazione. A Morgan è stato lasciato spazio per riprodurre tutti i pregiudizi e gli stereotipi che banalizzano offese alla dignità e alla libertà delle donne, in nome dell’amore. Morvillo non ha realizzato un’intervista per farci vedere come un uomo accusato di violenze racconta se stesso e giustifica le proprie azioni sulla base una cultura difficile da sradicare. Ha fatto ben altro. Ha assunto lo stesso punto di vista di Morgan e, fungendo da cassa di risonanza, ha dato forza alle sue parole.

In alcuni passaggi, Candida Morvillo appare come una madre dolente, consola un figlio un po’ scapestrato che inciampa nella cattiva sorte e non si chiede mai (e tanto meno chiede) “ma come mai capitano tutte a lui?”. L’incipit del quarto capoverso è patetico: “Da dove si comincia a raccontare un ragazzo dai capelli bianchi, il viso che sembra non vedere il sole da mo’, la giacchetta smilza da poeta, una vita in pezzi tanto per cambiare. Uno che è stato escluso da Sanremo, due volte, cacciato da amici, cacciato da X Factor, sfrattato da casa per debiti?”. Le sventure di Morgan non sono mai conseguenze delle sue azioni. Non è l’uomo accusato di perseguitare una donna, è un perseguitato. Quel “poeta” malvestito, del resto, aveva commentato nel 2021 il rinvio a giudizio per stalking e diffamazione con queste parole: “Persecuzioni? Erano poesie” e lo ha ripetuto sui social anche qualche settimana fa. Che ci sia poesia ce lo dice pure Morvillo: “Tre ore struggenti, di musica e parole, in cui si ride, si piange e si rimpiange – per chi non l’ha avuto – un amore così”. (Consigli utili: se incontrate “un amore così” scappate).

Discettando di amore, arte, poesia e procedendo di banalizzazione in banalizzazione “i magistrati non hanno disposto una misura cautelare”, la testimonianza di Angela Schiatti e la sua voce scompaiono. Scompare anche lo sguardo critico sui fatti riportati nella denuncia. Dalla captatio benevolentiae alla completa autoassoluzione di Morgan che ci dice che la sua ex, in qualche modo, se l’è cercata: “C’è l’azione, non mia, e c’è la reazione, bisogna capire il contesto”. E il contesto descrive Angela Schiatti come colei che ha abbandonato in un momento tragico, la disintossicazione dalla droga, l’artista dalla giacchetta smilza e dall’infanzia infelice raccontata “in pagine e pagine alle tre di notte”. Una donna che ha rifiutato il ruolo di fidanzata e crocerossina e che ha schifato una proposta di matrimonio. Una ingrata senza cuore. Poteva mancare il victim blaiming?

La Convenzione di Istanbul responsabilizza i media che sono tenuti ad una corretta narrazione quando affrontano temi sulla violenza contro le donne. Chi approccia questi temi deve sapere di che si tratta.

Lo stalking non è l’apostrofo rosa fra le parole t’amo. E’ costituito da una serie di comportamenti attuati da individui che vogliono mantenere un controllo costante sulla persona offesa, generandole uno stato di ansia e paura continui: si tratta di una forma di violenza che costringe la vittima a pensare sempre al persecutore, esattamente come il persecutore pensa costantemente alla vittima. Da questo punto di vista, lo stalking è formidabile perché chi lo mette in atto riesce nell’intento di non uscire mai dalla vita della vittima. E’ sempre presente nella sua mente. La minaccia di suicidio degli uomini che attuano comportamenti persecutori viene considerata, nella valutazione del rischio (Test Sara), un evento che deve mettere in allarme le vittime. In Italia 3 milioni e 466mila donne hanno subito stalking, ammontano a circa il 16,1 % delle popolazione femminile. Chi subisce stalking vive stati di ansia persistenti, paura, rabbia, disperazione, impotenza e senso di colpa.

L’indulgenza che dipinge uomini a processo per violenze come protagonisti di un romanzo triste è un privilegio che viene riservato soprattutto a personaggi famosi: attori, musicisti, registi, campioni sportivi, a uomini di potere o a imprenditori (Alberto Genovese, poi condannato a 8 anni per stupro, era “un astro che si era prematuramente spento”). Costoro continuano a godere di credito sociale e c’è sempre qualcuno pronto ad attenuarne la responsabilità anche sulle pagine di un quotidiano nazionale.

Gentilissimo Luciano Fontana, una prece: il prossimo 25 novembre può evitare di rispolverare le dichiarazioni delle attiviste dei Centri antiviolenza, come si fa una volta l’anno con gli addobbi natalizi? Obtorto collo. A cosa vi servono i commenti, le ricerche sul fenomeno della violenza maschile, i dati Istat, il conteggio delle donne uccise dopo aver subìto stalking? A decorare l’ipocrisia di una falsa coscienza messa in bella mostra sulle vostre pagine? In inverno si scrive di femminicidio, poi in agosto si va tutti in vacanza e un processo per stalking e diffamazione viene raccontato come un romanzetto su un amore infelice tra un artista genio e sregolatezza, perseguitato del fato, e una giovane maliarda?

Nella prossima Giornata Internazionale contro la violenza alle donne pubblichi a caratteri cubitali, su una pagina bianca, una sola frase: “Sono solo poesie” e ci risparmi l’ipocrisia. Grazie.

@nadiesdaa

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