Vacanze vietate per una famiglia su tre con uno o due figli. Nelle settimane in cui sembra che tutti siano sulle spiagge o a rilassarsi in qualche baita in montagna, c’è chi in Italia è costretto a rinunciare a partire perché non se lo può permettere. E non sono pochi: il 30% delle famiglie con uno o due figli e il 45% con almeno tre pargoli. A denunciare la situazione sono i dati diffusi da OpenPolis e Save the Children. Per molti minori che vivono in condizioni di svantaggio socioeconomico i mesi di giugno, luglio e agosto non rappresentano un’opportunità di svago di qualità né di stimolo educativo, perché i genitori non hanno le risorse economiche per permettersi soggiorni fuori dalla propria città o per svolgere attività ricreative, quali sport, arte, musica.

Nel 2022 – ultimo dato disponibile – il 35,9% dei nuclei ha dichiarato di non potersi permettere una settimana di ferie lontano da casa. In presenza di uno o due figli minori, la quota sale attorno al 30% e con almeno tre figli arriva fino al 45,7%. Un lieve miglioramento rispetto al 2021, anno in cui ancora pesava la pandemia, quando metà dei nuclei più numerosi aveva rinunciato alle vacanze. Ma le cifre, avvertono i ricercatori, sono per difetto: “Il rischio di sottostima va tenuto sempre presente quando si parla di questo tipo di dati sulla deprivazione. Una cautela che la letteratura internazionale ha spesso rimarcato”, ricorda Openpolis. Nel 2012, nella ricerca Misurare la povertà tra i bambini e gli adolescenti, il Centro di ricerca Innocenti dell’Unicef ha infatti sottolineato: “I risultati pubblicati possono sembrare dati obiettivi, ma dietro ogni statistica sulla deprivazione c’è un genitore che deve rispondere se sia in grado o no di permettere a suo figlio di “partecipare a gite ed eventi scolastici”, o di “invitare a casa degli amici per giocare e mangiare insieme”, oppure di avere “un posto tranquillo con spazio e luce a sufficienza per fare i compiti””. Ammissioni dolorose.

Stando al rapporto “L’estate è arrivata…e i bambini?” di Save the Children, poi, nel 2022 soltanto il 38,7% dei minori di età compresa tra 0 e 15 anni ha avuto la possibilità di svolgere una vacanza fuori dalla propria città di origine per più di quattro notti consecutive durante il trimestre estivo. Molto forti le differenze territoriali. Nelle regioni meridionali il dato più allarmante. In Calabria si è registrata la percentuale più bassa, 6,7%.

Ad accrescere il problema sono anche i costi dei centri estivi. In quelli privati, una settimana può costare mediamente dai 160 euro a bambino fino a 300 euro per strutture con programmi avanzati con sensibili differenze tra Nord e Sud: a Milano il costo medio nel 2023 era di 207 euro settimanali contro i circa 100 di Bari e Napoli, con un rincaro del 10% rispetto all’anno precedente registrato da Federconsumatori, che nel monitoraggio sul 2024 segnala una media di circa 154 euro a settimana per ogni bambino. Tra le città più care c’è Milano con una media di 218 euro, mentre Bari risulta la più economica con 100 euro a settimana. I centri estivi comunali hanno tariffe più accessibili, che tendono a essere più elevate nei grandi Comuni e piuttosto omogenee da Nord a Sud (95 euro a Torino, 85 a Milano, 80 in media a Roma e 90 in media a Napoli). Nelle piccole realtà i costi sono generalmente più bassi e molto più eterogenei (60-80 euro al Nord e 35-50 al Sud). Tuttavia, la disponibilità di posti nei centri comunali è quasi sempre insufficiente a coprire il fabbisogno.

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