Inizio settimana disastroso per i mercati internazionali. L’epicentro del terremoto (come già venerdì scorso) è Tokyo, la cui borsa ha chiuso con un crollo del 12,4%, il peggior calo della sua storia. Pesa la prospettiva di una stretta monetaria della banca centrale giapponese. Il testimone incandescente è passato poi alle borse europee. Londra ha perso il 2%, Francoforte l’ 1,8%, Parigi l’1,4%. Milano ha lasciato sul terreno il 2,1%. Tutti i titoli quotati sulla borsa italiana hanno chiuso in calo. Le banche, di nuovo, particolarmente colpite dalle vendite. Unicredit ha ceduto e il 2,5%, Intesa Sanpaolo l’1%, Bper il 2,7%. A New York l’S&P500 arretra del 2%, il Nasdaq del 2,4%. Inizialmente le perdite erano più marcate, poi la diffusione del dato sull’indice dei direttori d’acquisto (Pmi) di Ism con un ritorno sopra i 50 punti (dunque tornato in fase di espansione), migliore delle attese, ha ridato fiato agli indici.

Sono scese pure le quotazioni di oro (- 1%) e argento (- 4%). La spiegazione che viene data è che gli investitori vendono oro e metalli per coprire le perdite che stanno accusando sui titoli azionari. Le vendite hanno coinvolto le criptovalute, da qualcuno improvvidamente considerate “beni rifugio” di fronte alle turbolenze dei mercati tradizionali. Il bitcoin scende dell’ 5,7% (è arrivato a perdere l’11% sotto quota 55mila dollari). Il nervosismo generalizzato e la conseguente fuga dal rischio (si vendono i titoli con più alta componente di rischio e si comprano quelli più sicuri) si è fatto un poco sentire sul mercato del debito sovrano. Lo spread tra titoli di Stato decennali tedeschi e Btp si è allargato a 150 punti, con i rendimenti dei Btp saliti di 5 punti base al 3,68%.

L’asset sicuro per eccellenza, il dollaro, perde lo 0,4% sull’euro. Dovrebbe accadere il contrario in una situazione di panico generalizzato, ma qui prevalgono le attese per un taglio del costo del denaro da parte della Federal Reserve americana per far fronte al rischio di recessione emerso dagli ultimi dati economici. Ora si scommette sul fatto che, di fronte a queste turbolenza, la Fed possa muoversi già prima di settembre con un taglio “di emergenza”. Si approfitta della situazione per tastare la solidità della posizione della banca centrale. Nulla di nuovo.

“Se l’economia americana dovesse deteriorarsi la Fed interverrà”, ha detti oggi il presidente della Fed di Chicago Austan Goolsbee in un’intervista a Cnbc. Quella del rischio recessione Usa è la spiegazione “ufficiale” per le flessioni di questi ultimi giorni. Da sola non convince, non per cali di questa portata. Il fattore giapponese sembra pesare più di quanto non si dica. Lo yen è sopravvalutato sul dollaro ed ora le mosse opposte delle rispettive banche central (la Bank of Japan ha alzato i tassi a fine luglio e potrebbe farlo ancora, ndr) i rischiano di peggiorare la situazione penalizzando ulteriormente l’economia di un paese esportatore come il Sol Levante. Ne conseguono anche scossoni per tutte quelle operazioni di carry trade (ci si indebita in una valuta che “costa” meno per comprare asset che rendono di più del tasso pagato. Se la banca centrale alza i tassi questo meccanismo si inceppa.

Ci sono poi le crescenti tensioni in Medio Oriente (che sinora però erano state sostanzialmente ignorate dai mercati). Il periodo estivo facilita oscillazioni più forti del solito e un ruolo potrebbero avere anche gli algoritmi che gestiscono ormai la gran parte delle operazioni sui mercati. Negli Stati Uniti, inoltre, è emersa una certa disillusione sulle prospettive dell‘Intelligenza artificiale. Le trimestrali dei colossi della tecnologia, che molto hanno investito in questo campo, non sono state così brillanti come sperato. Non per ora.

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