Nei post precedenti abbiamo svolto alcune considerazioni sulla genetica delle popolazioni umane utilizzando soprattutto l’esempio della frequenza dei gruppi sanguigni AB0; dal punto di vista storico ci siamo fermati a ciò che era noto fino al 1920 o poco dopo.
Abbiamo comunque avuto modo di notare che le popolazioni umane differiscono più per la diversa frequenza di caratteristiche geniche comuni che per il possesso di geni separati e distinti, e abbiamo sottolineato quattro gravi errori nella pretesa ottocentesca di classificare la variabilità umana in razze:
1) era basata sulla semplificazione di caratteristiche complesse, non oggettive, spesso determinate da molti geni come il colore della pelle, che viene in mille sfumature diverse;
2) ignorava la natura probabilistica, anziché deterministica dell’assegnazione dell’individuo al gruppo;
3) sottovalutava la grande variabilità interna ai gruppi e sopravvalutava la differenza tra i gruppi;
4) pretendeva di vedere pochi gruppi distinti invece di riconoscere gradienti di frequenze geniche più o meno continui, o comunque indicativi della presenza di numerosissimi gruppi.
Oggi sappiamo molto di più, grazie al fatto che abbiamo decodificato l’informazione genetica, di cui i gruppi sanguigni sono soltanto un riflesso; possiamo confermare e approfondire ciò che abbiamo trovato in modo molto solido, analizzando direttamente il Dna, la molecola responsabile dell’informazione genetica; basterà quindi una sommaria descrizione delle sue caratteristiche per poter fare un passo avanti decisivo nel nostro discorso e descrivere le cause della variabilità genetica dell’umanità.
La scoperta della funzione del Dna è del 1942 ed è dovuta a Oswald T. Avery e collaboratori. Il Dna è una molecola di forma lineare, lunghissima (è chiamata un “filamento”), formata dall’unione di tante unità più piccole, i desossiribonucleotidi. I desossiribonucleotidi sono soltanto 4 e il loro nome si abbrevia con le lettere A, C, G, T; ciascuno è ripetuto moltissime volte nel filamento, che può essere quindi letto come una sequenza di 4 lettere. Una sequenza di nucleotidi porta informazione così come una sequenza di lettere dell’alfabeto costituisce un libro.
Capire il messaggio contenuto nel Dna richiede di determinare la sequenza dei nucleotidi: il metodo per fare questo fu messo a punto da Frederick Sanger alla fine degli anni ’70 del secolo scorso. La sequenza ottenuta deve poi essere interpretata e questo passo ha richiesto i contributi di troppi scienziati per poterli ricordare tutti in questa sede. Dobbiamo ancora aggiungere che il Dna di tutti gli organismi più complessi dei virus è composto da due filamenti intrecciati tra loro a formare una doppia spirale, e i due filamenti sono tra loro complementari: dove il primo presenta una A il suo partner presenta una T, dove il primo presenta una G il suo partner presenta una C e così via; la capacità dei nucleotidi di appaiarsi tra loro è alla base della possibilità di duplicare il Dna, perché ogni filamento contiene non solo la sua informazione, ma anche l’informazione di come è costituito il suo partner.
Dagli anni ’80 del secolo scorso siamo in grado di “sequenziare” il Dna e nell’anno 2000 è stato completato il sequenziamento dell’intero Dna umano che conta oltre 3 miliardi di coppie di nucleotidi. Questo ci ha dato accesso ad una enorme quantità di informazione sulla genetica degli individui e, analizzando il Dna di individui diversi, sulla genetica delle popolazioni.
Oggi possiamo costruire matrici di frequenze di varianti geniche per molte centinaia se non migliaia di regioni del nostro Dna, in decine, se non centinaia, di popolazioni e gruppi etnici diversi e possiamo analizzarle utilizzando strumenti matematici molto più raffinati di quelli descritti nei post precedenti. Queste analisi scompongono la varietà genetica delle popolazioni in “componenti principali”, cioè in combinazioni di frequenze di geni diversi; ogni gruppo è descritto da una diversa miscela di componenti principali.
I gruppi umani che l’analisi può identificare sono abbastanza numerosi da approssimare gradienti pressoché continui di componenti geniche; nelle parole del Premio Nobel Svante Paabo, “i gradienti rappresentano la diversità genetica dell’uomo in modo più corretto che i gruppi”, un risultato che era stato anticipato in un post precedente.
LE RAZZE UMANE NON ESISTONO – Leggi anche: Puntata I – Puntata II – Puntata III – Puntata IV