Caro Tiziano Terzani,

dopo aver riletto ancora una volta le tue Lettere contro la guerra, voglio scriverti anch’io una lettera per segnalarti che qui, nel “domani”, siamo messi sempre peggio, sia rispetto al dilagare delle guerre che allo stato del giornalismo che dovrebbe darne notizia, che man mano in questi anni si è trasformato (salvo lodevoli eccezioni) in propaganda di guerra. Scrivevi nel 2002, a conclusione della raccolta di Lettere contro la guerra (oggi anche nelle edizioni Chiarelettere, con l’introduzione di Tomaso Montanari), di voler guardare all’oggi “dal punto di vista del domani”: eccomi dunque nel domani – ventidue anni dopo quelle lettere e a vent’anni dalla tua dipartita – a ritrovare oggi, nelle tue parole di allora, la misura del tempo che abbiamo sprecato e il precipitare della situazione rispetto alla strada che indicavi.

Spiegavi, caro Terzani, descrivendo il senso del tuo mestiere di giornalista che la guerra l’aveva vista davvero, che dinanzi alle verità ufficiali cercavi sempre di vedere se ce ne fossero di alternative, in particolare – scrivevi – “nei conflitti ho sempre cercato di capire non solo le ragioni di una parte, ma anche quelle dell’altra”. Diventando, già solo per questo, da inviato di guerra, giornalista di pace. Specificavi, nella lettera pubblicata sul Corriere della Sera all’indomani dell’11 settembre 2001 che apre la raccolta, ciò che già allora apparve a qualcuno come blasfemo – per esempio ad Oriana Fallaci che ti rispose rabbiosamente – ma che oggi ti costerebbe l’accusa di essere al soldo del nemico, “putiniano” e “filo-Hamas”: “Il problema è che fino a quando penseremo di avere il monopolio del ‘bene’, fino a che parleremo della nostra come la civiltà, ignorando le altre non saremo sulla buona strada”.

Invece, oggi più di allora, – per citarti ancora – “sul palcoscenico del mondo noi occidentali siamo i soli protagonisti e i soli spettatori, e così, attraverso le nostre televisioni e i nostri giornali non ascoltiamo che le nostre ragioni, non proviamo che il nostro dolore. Il mondo degli altri non viene mai rappresentato“. Come quello dei 40mila civili palestinesi uccisi in dieci mesi – per contare solo le vittime dirette – dal fuoco del governo israeliano. Al quale pure il presidente Biden aveva detto dopo l’attacco terroristico del 7 ottobre 2023, di non ripetere l’errore degli Usa dopo l’11 settembre… Ah, se ti avessero (ci avessero) ascoltato allora, quanti lutti sarebbero stati evitati! Quante preziose risorse buttate in spese militari sarebbero state risparmiate!

Avevi il coraggio – oggi introvabile sulle testate più blasonate e nelle trasmissioni televisive che invitano i soliti noti, che non hanno mai visto un campo di battaglia, a blaterare di rappresaglie, ritorsioni e armi per la “vittoria” – di guardare lontano, Terzani, indicando nell’epocale evento critico il segnale della necessità di cambiare paradigma. “Quel che sta accadendo è nuovo – annotavi il 4 di ottobre, tre giorni prima dell’attacco Usa all’Afghanistan – il mondo ci sta cambiando attorno. Cambiamo allora il nostro modo di pensare, il nostro modo di stare al mondo. È una grande occasione. Non perdiamola: rimettiamo in discussione tutto, immaginiamoci un futuro diverso da quello che ci illudevamo d’aver davanti prima dell’11 settembre e soprattutto non arrendiamoci alla inevitabilità di nulla, tanto meno all’inevitabilità della guerra come strumento di giustizia o semplicemente di vendetta. Le guerre sono tutte terribili. Il moderno affinarsi delle tecniche di distruzione e di morte le rendono sempre più tali. Pensiamoci bene: se noi siamo disposti a combattere la guerra attuale con ogni arma a nostra disposizione, allora dobbiamo aspettarci che anche i nostri nemici, chiunque essi siano, saranno ancor più determinati di prima a fare lo stesso, ad agire senza regole, senza il rispetto di nessun principio. Se alla violenza del loro attacco alle Torri Gemelle noi risponderemo con una ancor più terribile violenza – ora in Afghanistan, poi in Iraq, poi chi sa dove -, alla nostra ne seguirà necessariamente una loro ancora più orribile e poi un’altra nostra e così via. Perché non fermarsi prima?”.

Non ci siamo fermati ed è andata esattamente come prevedevi. Dopo l’aggressione militare all’Afghanistan, il terrorismo è dilagato ovunque, e – dopo aver messo a ferro e a fuoco anche l’Iraq, inventando menzogne per convincere gli alleati, e stracciato i diritti umani a Guantanamo ed Abu Ghraib – gli Usa sono fuggiti da Kabul nell’estate del 2021, com’era avvenuto in quella fuga da Saigon che tu avevi vissuto e raccontato. E poiché le relazioni internazionali sono un sistema complesso, nel quale il battito d’ali di una farfalla in Brasile può generare un uragano nel Texas, Putin – che era stato arruolato nella “guerra al terrore”, chiudendo entrambi gli occhi sui massacri in Cecenia – ha pensato bene di imitare gli Usa e di invadere all’inizio del 2022 l’Ucraina, per risolvere con le armi un annoso conflitto tra opposti nazionalismi nei territori di confine. E ora ci troviamo governati da sonnambuli sull’orlo di una guerra mondiale tra potenze nucleari… Pensa che follia stiamo vivendo, caro Terzani.

Ma nelle tue Lettere si trova anche l’unica via d’uscita da questo terrificante scenario. “Ognuno di noi può fare qualcosa – scrivevi – Tutti assieme possiamo fare migliaia di cose. La guerra al terrorismo viene oggi usata per la militarizzazione delle nostre società, per produrre nuove armi, per spendere più soldi per la difesa. Opponiamoci, non votiamo più chi appoggia questa politica, controlliamo dove abbiamo messo i nostri risparmi e togliamoli da qualsiasi società che abbia anche lontanamente a che fare con l’industria bellica. Diciamo quello che pensiamo, quello che sentiamo essere vero: ammazzare è in ogni circostanza un assassinio. Parliamo di pace, introduciamo una cultura di pace nell’educazione dei giovani. (…) Il cammino è lungo e spesso ancora tutto da inventare. Ma preferiamo quello dell’abbrutimento che ci sta dinanzi? O quello, più breve, della nostra estinzione?”.

Al primo ci siamo già arrivati, alla seconda stiamo per farlo, se non cambiamo immediatamente strada e ci immettiamo sul cammino della nonviolenza come esortavi oltre venti anni fa.

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