Alle Olimpiadi di Parigi è la portabandiera del Team Rifugiati: vive nel Regno Unito ma non ha ancora ottenuto la cittadinanza e non può tornare in Camerun perché verrebbe spedita in prigione
Affrontare una vita intera senza la propria madre, espulsa e non gradita dal proprio paese d’origine perché l’omosessualità è un reato, in Gran Bretagna da 15 anni ma senza aver ancora ottenuto la cittadinanza. Poi, i Giochi Olimpici a Parigi con il Refugee Olympic Team (team Rifugiati) da portabandiera e la prima storica medaglia. Questa la storia di Cindy Winner Djankeu Ngamba, atleta 25enne originaria del Camerun che ha raggiunto le semifinali del torneo di boxe 75kg: un’ormai certa medaglia di bronzo per un traguardo storico. “Sono solo un essere umano. Ci sono molti altri rifugiati là fuori, siamo milioni. Io sono solo una di milioni: spero solo che la mia storia e il mio viaggio siano in qualche modo fonte di ispirazione”.
Ngamba aveva fatto coming out nel 2018: bullizzata a scuola per il pessimo inglese e perché in sovrappeso, arrestata in un ufficio di immigrazione e spedita in un centro di detenzione. “Sono stata quasi rispedita in Camerun è trattenuta in un campo di detenzione: è stata una delle esperienze più spaventose della mia vita”, aveva raccontato ai microfoni del The Guardian. “Quando ci siamo trasferiti nel Regno Unito, Kennet e io andavamo all’ufficio immigrazione di Manchester una volta alla settimana per firmare i documenti. Ma una volta che siamo andati a firmare, ero solo io in questa stanza con una donna e due poliziotti. La donna non ha detto niente per anni, ma poi ha alzato lo sguardo e ha detto: ‘Cindy Ngamba, ti arresterò'”. E così è stato: scaraventata nel retro di un furgone è stata portata a Londra. “Quando siamo arrivati, sembrava una prigione ed era pieno di donne e dei loro bambini. Mi hanno dato una camera da letto con una TV e la mattina dopo mi hanno lasciato chiamare mio fratello. Qualche ora dopo, una donna mi ha detto che potevo andarmene. Penso che sia stato mio zio a dare loro informazioni sufficienti per dimostrare che potevamo restare qui. Mi hanno dato un biglietto del treno e ho incontrato mio fratello a Manchester“.
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Nel 2019 le è stato concesso lo status di rifugiata, per essere protetta e al sicuro. Soffriva di bulimia e veniva considerata un maschiaccio. Oggi vive con il padre e il fratello Kennet (il suo migliore amico) a Bolton – in Inghilterra -, la boxe l’ha salvata dai pregiudizi. E il merito è proprio di Kennet che l’ha avvicinata al mondo dello sport: prima con il calcio, poi con i guantoni alle mani. Desidera combattere per il Regno Unito ma per la legge non può, almeno per ora: l’obiettivo è farlo a Los Angeles 2028, come segno di riconoscenza nei confronti del Paese che l’ha accolta. All’inizio si vergognava di essere identificata come una rifugiata, oggi la riempie d’orgoglio perché “si sente un essere umano”, come gli altri. Il merito è degli inglesi che non chiedono della sua sessualità ma solo della Cindy atleta e pugile.
Il divieto in Camerun
Immagina non poter gareggiare per il tuo paese perché vieni identificato come un criminale per l’orientamento sessuale. Ngamba è lesbica e l’omosessualità è ancora un reato penale in Camerun (uno dei 64 stati nazionali riconosciuti dalle Nazioni Unite in cui è illegale essere gay), nonostante la figlia del presidente – Paul Biya – abbia fatto outing sui social. Ancora oggi vietata dalla sezione 347-1 del codice penale, con una pena da 6 mesi fino a 5 anni di reclusione e con una multa da 20.000 a 200.000 franchi, Ngamba non può e tanto meno non vuole tornare in Africa pur di evitare la prigionia. Nel 2009, all’età di 11 anni, si trasferisce in Europa con lo zio e il fratello per raggiungere il padre e i nove fratellastri. “Non ho nemmeno detto addio alla mia famiglia, riesco a malapena a ricordare le cose del Camerun“. Il nuovo mondo la mette a contatto con una realtà crudele: Ngamba scopre di essere stata portata illegalmente nel Regno Unito. “Avevano bisogno del mio documento e del mio visto per approvarmi il college: solo allora ho scoperto che non avevo il passaporto. Ero così depressa del fatto non potevo fare quello che facevano le altre persone della mia età”. L’espulsione – anche dall’Inghilterra – non era un’ipotesi così remota. Oggi, Ngamba è (almeno) medaglia di bronzo nella boxe e spera di poter gareggiare proprio con la Gran Bretagna ai prossimi Giochi. In attesa della cittadinanza.
Il Team Rifugiati: una delegazione di 36 atleti
Un simbolo di inclusione e di uguaglianza. 36 atleti a Parigi uniti sotto una bandiera immaginaria, quella dei rifugiati. La stessa indicata con orgoglio sul petto da Cindy Ngamba al termine della vittoria all’unanimità contro la francese Davina Michel. Squadra olimpica creata a Rio nel 2016, per volontà dell’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Rifugiati Filippo Grandi, a Parigi è arrivata la prima medaglia. In rappresentanza degli oltre 100 milioni di persone che fanno parte delle popolazioni sfollate di tutto il mondo.