Aliquote bassissime, dal 10 al 15%, che garantiscono sconti fiscali fino a più del 70% delle maggiori tasse in teoria dovute. È l’ultimo regalo che il governo, nel tentativo di rendere appetibile l‘altrimenti respingente concordato preventivo biennale tra fisco e partite Iva, ha deciso di offrire ad autonomi e professionisti disposti ad aderire alla misura voluta dal viceministro all’Economia Maurizio Leo. In barba ancora una volta all’equità fiscale, visto che da quei vantaggi sono ovviamente esclusi i lavoratori dipendenti chiamati a versare le normali aliquote Irpef. Le indiscrezioni delle scorse settimane sono confermate dal testo finale del secondo decreto correttivo delle norme sul concordato, approdato in Gazzetta ufficiale solo il 5 agosto a 10 giorni dal consiglio dei ministri che l’ha varato il 26 luglio. Che concede una “tassazione sostitutiva opzionale” sulla differenza tra il reddito dichiarato l’anno prima e quello concordato con il fisco.

La possibilità di mettersi d’accordo con l’Agenzia delle Entrate sul reddito presunto e dunque sulle imposte da pagare vale per 2,7 milioni di partite Iva soggette agli Indici sintetici di affidabilità fiscale – il 56% delle quali ha un voto inferiore a 8, cioè è ritenuto probabile evasore – e circa 1,8 milioni di forfettari, cioè gli autonomi con ricavi fino a 85mila euro che hanno optato per la flat tax al 15% (per loro l’accordo varrà solo per i redditi 2024). Il primo decreto attuativo dell’istituto introdotto dalla delega fiscale non prevedeva l’applicazione di aliquote agevolate. Idem per il primo decreto correttivo, datato 20 giugno. Ma tutto è cambiato dopo che le Entrate hanno messo a disposizione dei commercialisti e dei loro clienti i software per il calcolo della proposta, che viene costruita con l’obiettivo di portare il contribuente, a fine concordato, a un livello di piena affidabilità fiscale. Il risultato è che chi fino ad oggi ha dichiarato molto poco si è visto prospettare un maggior reddito molto impegnativo: anche diverse decine di migliaia di euro in più. Perché accettare, posto che la minaccia di essere sottoposti a controlli in caso di rifiuto è poco credibile con l’Agenzia gravemente sotto organico?

La paura del flop – A quelle condizioni, le percentuali di adesione alla misura si preannunciavano bassissime. Una figuraccia per Leo, che da oltre un anno descrive il concordato come la massima espressione del “fisco amico” caro al centrodestra. E soprattutto un problema non da poco in vista della prossima legge di Bilancio, che va finanziata senza ricorrere all’extra deficit per rispettare il nuovo Patto di stabilità. È a quel punto che il governo ha deciso di raccogliere l’assist lanciato dai parlamentari di maggioranza nei pareri delle commissioni Finanze sul decreto e accontentare i rappresentanti di commercianti e artigiani (e degli stessi commercialisti) concedendo una “tassazione sostitutiva opzionale” sulla differenza tra il reddito dichiarato l’anno prima e quello concordato con il fisco. In base al testo definitivo appena entrato in vigore, dunque, i contribuenti Isa potranno scegliere di versare su quella cifra non le aliquote progressive Irpef, o l’Ires al 24% se si tratta di società di capitali, ma solo il 10% se sono considerati virtuosi, cioè hanno un voto Isa superiore a 8, il 12% se hanno punteggio tra 6 e 8 e il 15% se non arrivano al 6. Categorie, le ultime due, che raccolgono professionisti e imprenditori individuali che il fisco considera inaffidabili. Quanto ai forfettari, per loro invece del 15% di cui già godono arriva un’aliquota del 10% che scende addirittura al 3 se si tratta di start up.

I maxi sconti – Il conto finale, in questo modo, si riduce di molto. Rendendo più vantaggioso firmare l’intesa, che porta con sé l’esclusione da alcune tipologie di accertamenti e (per i contribuenti Isa) i benefici già concessi a chi ha pagelle fiscali da 8. Il Sole 24 Ore ha calcolato che un professionista con punteggio Isa molto alto (9,9), dunque sulla carta già ligio ai doveri fiscali, otterrà un potenziale risparmio del 76,7%, e una ditta individuale con voto 7,8 – sotto la sufficienza – e un ampio differenziale tra il reddito dichiarato nel 2023 e la proposta delle Entrate pagherà il 70,7% in meno rispetto a quel che avrebbe dovuto versare in base alle aliquote Irpef. Un bel favore per chi finora ha probabilmente frodato l’erario contribuendo alla montagna del nero, pari nel 2021 a 83,6 miliardi di cui 30 sottratti al fisco dagli autonomi. Che – stando all’ultima Relazione sull’evasione fiscale e contributiva – tengono per sé poco meno del 70% dell’imposta che avrebbero dovuto versare.

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