“In prigione e non nell’esercito“, hanno gridato davanti alla base mentre alcuni di loro si scontravano con gli agenti di polizia. E’ accaduto davanti all’ufficio di leva della base di Tel Hashomer, in Israele, dove ieri mattina circa 300 ebrei haredi hanno manifestato per protestare contro la loro convocazione per il servizio militare. Sono stati circa 600 quelli chiamati ieri e altri circa 500 sono attesi oggi, dopo che nelle ultime settimane sono stati inviati loro ordini di reclutamento nell’esercito, dal quale sono per convenzione esentati fin dal 1948. Una scena che si è ripetuta più volte negli ultimi mesi e che mette in luce una frattura che nello Stato ebraico si fa sempre più profonda ed evidente, quella tra la parte laica della società e la comunità ultra-ortodossa.

La composizione demografica della popolazione di Israele è cambiata molto velocemente. Oggi le donne ebree laiche hanno in media 2,47 figli ciascuna. Un tasso di fertilità invidiabile, specie se paragonato a quello dei maggiori paesi occidentali: 1,9 in Francia, 1,64 negli Stati Uniti, 1,56 nel Regno Unito, 1,25 in Italia. Ma questo tasso sale a quota 6,64 per le donne ultra-ortodosse. Un’elevata fertilità che negli ultimi anni non ha rappresentato un problema grazie agli alti tassi di crescita della popolazione laica e al ritorno di massa di persone di origine ebraica da tutto il mondo, in particolare dall’Europa.

Ma ora le cose stanno cambiando. Il flusso proveniente dall’Europa orientale (l’area dell’ex Unione Sovietica e dell’ex cortina di ferro) è in forte diminuzione e il tasso di fertilità dei laici è in calo, mentre quello degli ultra-ortodossi sale in maniera costante da diversi anni: se nel 2009 gli haredi erano circa 750mila, nel 2022 era saliti a quota 1,28 milioni, il 13,3% della popolazione. E le previsioni indicano che continueranno ad aumentare: a maggio, secondo l’Ufficio centrale di statistica, Israele aveva 9,9 milioni di abitanti, con una crescita dell’1,9% in un anno; entro il 2023 gli haredi saranno il 16% della popolazione ed entro il 2065 sarà ultra-ortodosso il 50% degli under 14 (oggi sono il 22%).

Nonostante i tassi di crescita, ogni anno solo 1.200 haredi prestano servizio nell’esercito (meno del 10%) e circa 13 mila dei loro ragazzi non lo fanno in virtù di un’esenzione risalente al 1948, anno di fondazione dello Stato ebraico, cosa che le Israel Defense Forces non sembrano più potersi permettere. Con le operazioni militari a Gaza di cui al momento non si vede la fine, il fronte aperto più o meno in maniera permanente con il Libano e la minaccia di uno scontro regionale con l’Iran, nel Paese aumentano le richieste affinché il governo metta fine a quello che sempre più israeliani considerano un privilegio. L’esecutivo Netanyahu ha annunciato che la coalizione al potere non ha trovato l’intesa per estendere l’esenzione scaduta il 1° aprile, da allora l’esercito ha iniziato a inviare avvisi di coscrizione agli studenti delle scuole religiose e il 26 giugno la Corta Suprema ha stabilito che l’esenzione è illegittima perché “non esiste un quadro giuridico che consenta di distinguere tra studenti di yeshiva e coloro destinati al servizio militare”.

La questione è militare ed economica allo stesso tempo. Il 31 marzo, presentando il rapporto annuale 2023, la Banca centrale ha affermato che la guerra contro Hamas a Gaza sta gravando oltremodo sull’economia a causa dell’aumento esponenziale dei giorni di servizio richiesti sia ai coscritti che ai soldati di riserva. Per questo, si legge nel report, “ampliare la cerchia del personale militare includendo la popolazione ultra-ortodossa (…) renderà possibile rispondere alle crescenti esigenze di difesa, moderando al contempo l’impatto sul personale e sull’economia“. Gli haredi, infatti, sono i principali destinatari di assistenza sociale, sussidi e indennità governative poiché gli uomini sono dediti allo studio della Torah, solo il 55% di loro lavora e nella comunità il tasso di povertà è doppio rispetto a quello della popolazione totale. Quindi non contribuiscono in modo significativo all’economia e l’aumento della popolazione finisce per tradursi in maggiori spese sul bilancio statale. Un allarme condiviso da 130 economisti israeliani che a febbraio hanno firmato una lettera secondo cui “senza modifiche alle procedure esistenti” Israele perderà 6 punti di Pil entro il 2065 mentre il carico fiscale aumenterà: “Questi processi mettono a repentaglio l’esistenza dello Stato“.

Negli anni, tuttavia, il potere della comunità alla Knesset è cresciuto. In parlamento quasi un deputato su sei è espresso da partiti che la rappresentano e da anni i conservatori stanno cercando di far sì che l’esenzione sia sancita per legge. Il 25 luglio il partito United Torah Judaism ha presentato una proposta di legge costituzionale che definisce lo studio della Torah un valore fondamentale dello Stato, equiparandolo al servizio militare, esentando di fatto gli haredi dall’obbligo. Il Likud di Netanyahu si è affrettato a minimizzare, affermando che il ddl “non verrà portato avanti”. L’Utj ha replicato che il testo si basava su accordi di coalizione ed “era stato preparato all’epoca da noi come parte della soluzione complessiva” al tema della coscrizione. E poco dopo lo Yesh Atid di Yair Lapid ha pubblicato una fotografia della firma del premier sul patto di coalizione, promettendo ai partiti Haredi che la legge verrà approvata.

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