“È solo un mal di testa”, aveva detto a sua sorella gemella. Eppure, meno di 12 ore dopo era a terra, nel pronto soccorso dell’ospedale, priva di sensi dopo una presunta emorragia cerebrale. E mentre sua sorella, Inese, cerca delle spiegazioni su come sia potuto accadere che una persona in ospedale morisse sotto gli occhi di tutti, Inga non c’è più. “Ho provato a telefonarle quella mattina, più volte, ma non ricevevo risposta. Quando ho fatto la videochiamata, mi ha risposto un’infermiera dicendomi di venire in Inghilterra”, ha riferito Inese. Erano inseparabili, come qualsiasi coppia di gemelli. “Abbiamo condiviso tutto. Lei era una parte di me – ha detto Inese -. Se lei diventava bionda, io diventavo bionda. Avevamo anche tatuaggi identici”.
È la tragica storia di Inga e Inese Rublite, nate in Lettonia a pochi minuti di distanza l’una dall’altra. A 18 anni avevano tentato la strada della Gran Bretagna, ma se Inga aveva scelto di rimanere in Inghilterra, Inese, forse per nostalgia di casa, era tornata in patria. “È stata la prima volta che siamo andate in direzioni diverse”, disse Inese. Eppure continuavano a sentirsi ogni giorno, per qualsiasi così. Ed è stato così anche in quella tragica notte tra il 19 e il 20 gennaio.
Una mano sulla testa e una smorfia, tanto era bastato a Inese per iniziare a preoccuparsi: “Ha detto che non sembrava un normale mal di testa, ma come se qualcosa le schiacciasse il cranio – ha ricordato -. Le ho detto di tornare a casa, ma lei era così, ha preso un paracetamolo e l’ha etichettato con il classico ‘è solo un mal di testa’“. Poi, però, la situazione non è migliorata, anzi. La sorella si è preoccupata per le condizioni di Inga e l’ha richiamata quella sera stessa: “Ha detto che non riusciva a sedersi comodamente, il dolore era peggiorato. Le ho detto di andare in ospedale o chiamare un’ambulanza”. Cosa che ha effettivamente fatto alle 20.50, ma dalla linea di assistenza sanitaria NHS le hanno detto che erano occupati. Quindi ha chiesto aiuto al vicino ed essendo Inga una madre single, ha lasciato i figli soli a casa.
All’arrivo al Queen’s Medical Centre di Nottngham, comincia l’odissea di Inga. Viene ammessa in ospedale alla 22.39, ma le sue condizioni sono sembrate ‘non preoccupanti’, motivo per cui è stata rimandata alla sala d’attesa. Lì rimane sola, perché il vicino di casa torna a casa per controllare suo figlio.
“Sappiamo dal suo telefono che stava cercando su Google ‘cefalea a rombo di tuono’, ovvero quello che l’operatore telefonico gli aveva indicato come possibile malattia”. L’inchiesta ha chiarito che intorno alle 2 del mattino ci fu una conversazione con un’infermiera in cui Inga si sarebbe lamentata di un peggioramento delle sue condizioni. Sarebbe dovuta quindi passare a un medico senior. Ma non lo fu. Il suo nome è stato poi chiamato tre volte tra le 5 e le 6.50 del mattino, ma non rispose e nessuno si preoccupò di cercarla. Intorno alle 7, Inese ha iniziato a telefonare Inga. Nessuna risposta. Proprio in quei minuti, poi, è stata trovata, incosciente, sul pavimento, coperta da un cappotto. Era stata scambiata per un senzatetto: “Non è raro che qualcuno dorma sotto un cappotto nella nostra sala d’attesa, ci vengono molti senzatetto”, ha riferito un membro del personale medico. E quando un’infermiera ha risposto alla telefonata di Inese dal telefono di Inga, la ragazza lettone ha pensato ‘Che ci fa ancora in ospedale?’. Poi, la corsa all’aeroporto in cerca del primo volo per il Regno Unito. Sapeva che stava andando a dirle addio per sempre.
“Quello che vorrei dire a chi è responsabile è che i pazienti non solo numeri. Non puoi semplicemente metterli nel sistema e dimenticarli. Ogni persona che entra in ospedale ha qualcuno che aspetta il loro ritorno”, ha concluso Inese, che porterà per sempre dentro di sé il ricordo di una tragedia che si sarebbe potuta evitare, forse, con un po’ più di attenzione. E nonostante la famiglia, secondo il MailOnline, abbia avviato le pratiche legali contro l’ospedale, Inese ha voluto comunque rilasciare delle dichiarazioni “perché ciò che è successo a mia sorella non dovrebbe mai più accadere”.