Cronaca

L’Appia antica diventa patrimonio dell’Unesco, ma solo a metà. Tratti esclusi in Lazio e Puglia nonostante i ritrovamenti archeologici

L’Appia Antica è stata dichiarata Patrimonio dell’Umanità dall’Unesco. Evviva! “Esprimo tutta la mia soddisfazione e il mio orgoglio per il grande risultato ottenuto. Congratulazioni a tutte le istituzioni e comunità che hanno collaborato con il Ministero della Cultura per arrivare a questo prestigioso traguardo”, ha dichiarato il ministro della Cultura, Gennaro Sangiuliano. Aggiungendo che “è […]

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L’Appia Antica è stata dichiarata Patrimonio dell’Umanità dall’Unesco. Evviva! “Esprimo tutta la mia soddisfazione e il mio orgoglio per il grande risultato ottenuto. Congratulazioni a tutte le istituzioni e comunità che hanno collaborato con il Ministero della Cultura per arrivare a questo prestigioso traguardo”, ha dichiarato il ministro della Cultura, Gennaro Sangiuliano. Aggiungendo che “è un riconoscimento del valore della nostra storia e della nostra identità, dal quale può nascere una valorizzazione in grado di portare benefici economici ai territori interessati”. Per la prima autostrada della storia, come potrebbe essere definita l’Appia Antica, da Roma a Brindisi, un bel riconoscimento. Che però non riguarda l’intero tracciato della strada.

Dal riconoscimento sono stati esclusi 3 dei 22 tratti nei quali è stata suddivisa la strada. I primi due nel Lazio: il numero 3, da Genzano a Velletri attraverso il territorio anche di Nemi, comprendente il diverticolo per Lanuvium, esteso su oltre 77 ettari e con una zona di rispetto sui due lati di quasi 470 ettari. Il numero 4 da Cisterna a Terracina, compreso il diverticolo per Norba, attraverso i territori anche di Latina, Norma, Sermoneta, Sezze e Pontinia, su oltre 390 ettari ed una zona di rispetto di oltre 1757 ettari. Il tratto 22, in Puglia, nella provincia di Brindisi, attraverso i territori di Monopoli, Fasano, Ostuni e Carovigno, su oltre 1356 ettari e una zona di rispetto di quasi 11.530 ettari. Il Consiglio Internazionale per i monumenti e i siti (Icomos), l’organismo tecnico internazionale che per l’Unesco cura l’esame delle candidature che arrivano da tutto il mondo, “ritiene che non vi è abbastanza evidenza in questa fase per giustificare la loro inclusione in questa parte componente”, come scrive nella Relazione intermedia e richiesta di informazioni supplementari, inviata a dicembre 2023 all’Unesco.

“Ho chiamato personalmente ciascuno dei sindaci di questi territori per comunicare che quelle zone fanno parte a pieno titolo della via Appia” e “abbiamo già avviato con Icomos l’iter per la revisione della decisione”, ha provato a rassicurare il sottosegretario al ministero della cultura, Gianmarco Mazzi. Ma intanto 1823 ettari di territori attraversati dalla strada, compresi nelle province di Roma, Latina e Brindisi, sono fuori. E con essi oltre 13750 ettari di zone di rispetto. Spazi enormi nei quali il Paesaggio è ancora definito dalle testimonianze archeologiche, nonostante gli stravolgimenti causati da politiche urbanistiche scellerate. Spazi nei quali si può ancora apprezzare il succedersi di modeste alture coperte da vigneti e poi terreni pianeggianti, coltivati e delimitati da pini ed eucalipti. E ancora distese di oliveti. Paesaggi naturali e antropizzati, ma esclusi perché non vi sarebbero “abbastanza evidenze per giustificarne la loro inclusione”. E questo nonostante alla predisposizione della documentazione necessaria per la richiesta d’iscrizione nella Lista del Patrimonio Mondiale, “coordinata direttamente dal Ministero della Cultura”, spiega l’Ufficio stampa del Mic in un comunicato, “abbiano atteso molteplici istituzioni: quattro Regioni, tra Lazio, Campania, Basilicata e Puglia, 13 Città metropolitane e Province, 74 Comuni, 14 Parchi, 25 Università, numerosissime rappresentanze delle comunità territoriali, nonché il Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale e la Pontificia Commissione di Archeologia Sacra della Santa Sede”.

Uno schieramento immane di forze che evidentemente ha ritenuto trascurabili un’infinità di resti, in alcune circostanze individuati attraverso indagini di scavo dalle Soprintendenze di riferimento. Resti visibili sul terreno e dettagliatamente documentati in bibliografia, anche recente, sopratutto nei primi due tratti. Attraverso carte archeologiche, ma anche contributi su contesti più circoscritti. Tratti di basolato e di sostruzione della strada e diramazioni secondarie, di lunghezza variabile, in direzione ora di villae ed insediamenti, ora di città. Ai lati, singoli monumenti funerari, estese necropoli e stazioni di posta. E poi, allontanandosi un po’, ma comunque ben dentro la zona di rispetto, edifici templari e moltissimi impianti residenziali con annessi impianti produttivi. Nei corsi d’acqua, sistemi di cunicoli connessi allo sfruttamento agricoli dei territori. Nel complesso tanti resti, non occasionalmente, anche molto imponenti. Visibili, anche se in molte occasioni, in condizioni di diffuso degrado.

Così continua a mostrarsi la via Appia antica tra Genzano di Roma a Velletri. In bella evidenza. Nonostante un’infinità di abusi. Più o meno recenti. In molti casi così assurdi da sembrare incredibili. “Interrotta da edifici, mangiata da cancelli e poderi, quel che rimane della linea dell’Appia certifica l’eclissi dello Stato e la restaurazione di quegli stessi particolarismi contro cui Roma ha lottato per secoli”, scrive Paolo Rumiz nel suo libro sull’Appia. Peccato quindi che questo tratto, esteso a Cisterna di Latina, sia stato escluso dal riconoscimento che avrebbe potuto costituire finalmente l’occasione di una tutela più attenta. Tratto escluso ignorando sostanzialmente i 280 metri di basolato sul lato meridionale della via Appia Nuova, a partire dal bivio di Lanuvio. E gli oltre 220 metri di sostruzione in opera quadrata lungo via Appia antica che raggiunge la via Appia vecchia. Come i successivi quasi 160 metri forniti di contrafforti. Non diversamente il ponte in opera quadrata che attraversa il Fosso di Mele e dai resti di ponte sul Fosso di Civitana.

Come gli oltre 36 metri di basolato in via Appia antica, superata via Soleluna. E ancora i resti di ponti sui fossi delle Mole e delle Castella. Ignorando il moltissimo altro che si conserva. Ignorando quel che rimane da Cisterna di Latina all’ingresso di Terracina e visibile a dispetto di distruzioni perpetrate negli anni. In alcuni casi risultato di indagini archeologiche coordinate dalla locale Soprintendenza, come nel caso di Tres Tabernae, la stazione di posta con annesso impianto termale, al XXXIII miglio della strada. Oppure a Forum Appii, un piccolo centro a XLIII miglia della via, coincidente con Borgo Faiti, frazione di Latina. In ogni caso ci sono, ancora, a Tor Tre Ponti, una frazione di Latina, il ponte a due arcate con il quale la via attraversa il fiume Ninfa e adiacente al Casale di Mesa, al LIII miglio della strada, dal mausoleo di Clesippo. Ignorando anche quel che rimane nel tratto finale, lungo la cosiddetta Appia traiana. E’ più che probabile che in futuro si potranno includere anche i tratti ora esclusi. Ma perché ciò si sia verificato rimane incomprensibile. E davvero ingiustificabile. Evviva l’Appia antica, dunque, Patrimonio dell’Unesco, a metà.