Ambiente & Veleni

Siccità, Legambiente: “Nuove dighe? Meglio usare meno acqua e recuperare il 40% disperso nella rete. Ma l’autonomia porterà conflitti”

“Basta con le ordinanze di razionamento dell’acqua, la trivellazione di nuovi pozzi, il ricorso smisurato a nuovi dissalatori e nuovi invasi. Contro la siccità che morde sempre di più serve invece ammodernare la rete e completare le opere mai finite, come depuratori, reti fognarie, dighe da pulire e sghiaiare”. Andrea Minutolo, responsabile scientifico di Legambiente, spiega la posizione dell’associazione ambientalista: ridurre l’uso dell’acqua, riutilizzarla meglio, fermare le perdite delle reti, cambiare il modo di coltivare.

Che tipo di siccità abbiamo avuto in questi ultimi anni?

In Sicilia la siccità è cominciata addirittura tra il giugno e il dicembre del 2023, quando non ha piovuto, da lì che bisognava mettere in campo azioni preventive per non arrivare alla fase acuta estiva prima del 2024. Questa siccità è il proseguimento di quella del 2022, che toccò il bacino padano, che oggi invece ha una grande abbondanza di acqua. E questo vuol dire che dobbiamo fare i conti con questa diversa disponibilità dell’acqua, ma dobbiamo anche cambiare il modo in cui la usiamo.

I dissalatori non possono aiutarci?

No: anzitutto, non sono impianti immediatamente realizzabili, ci vuole tempo per farlo. Inoltre, ci sono enormi costi energetici per produrre quell’acqua, tanto che quei dissalatori già costruiti in Sicilia oltre dieci anni fa non sono più in funzione perché insostenibili dal punto di vista economico. Diverso è il discorso delle isole minori, dove possono avere un senso. Infine, c’è il discorso della salamoia, il residuo ipersalino che viene prodotto una volta che viene tolto dall’acqua e viene scaricato a mare, quindi crea hotspot ipersalini che fanno un danno ambientale notevole. Il punto è che quando si invocano i dissalatori passa un messaggio sbagliato.

Quale?

Fino a qualche anno fa Dubai era il paese con il tasso di utilizzo dell’acqua potabile più basso a livello mondiale, da quando invece c’è petrolio e scarsa attenzione ambientale sono diventati uno dei paesi produttori di acqua dissalata. E da essere molti attenti a gestire l’acqua perché sapevano di non averla sono diventati uno dei più alti paesi a consumo pro-capite idrico, sanno cioè che la possono produrre e la sprecano in maniera ingiustificata. Ma poi produciamo acqua che ha un costo elevato per poi immetterla dove? Nelle reti che hanno la metà delle perdite (la media è del 42%, al sud arriva al 51%)? Se devi dare una priorità serve ottimizzare la rete idrica che è un colabrodo.

Fare nuovi invasi non sarebbe una soluzione?

A parte il fatto che ormai non sappiamo dove pioverà, gli invasi sono una soluzione ma non di emergenza. Per costruire una diga ci vogliono 15-20 anni. Ma in Italia ne abbiamo 532 che potrebbero contenere 13,7 miliardi di metri cubi d’acqua. Peccato che di questi 13 miliardi ben 4 miliardi di metri cubi d’acqua non siano stoccabili perché i bacini si riempiono di terriccio portato dai fiumi, e non si è mai messo mano sulla manutenzione ordinaria delle dighe. Solo in Sicilia il 34% del volume complessivo dei 29 grandi invasi si perde a causa dell’accumulo di detriti sul fondale. Che senso parlare di nuove dighe, allora? E poi dove le costruiamo? Non sappiamo dove serviranno, dove ci sarà la siccità.

Meglio mantenere quelle che abbiamo?

Certo. E serve avere una rete capillare distribuita nel territorio che permetta di raccogliere le acque piovane: le piogge in Italia sono nell’ordine di oltre 100 miliardi di metri cubi di acqua, che è tanta pioggia. L’importante sarebbe riuscire a trattenerla più possibile, cercando di farla infiltrare nelle falde, dove non rischia tra l’altro di evaporare come accade nei grandi invasi.

Sono sbagliate secondo lei, immagino, anche le misure emergenziali come la ricerca di pozzi.

In Sicilia, in nome dell’emergenza, si stanno spendendo decine di milioni per opere discutibili, come l’approfondimento dei pozzi per mettere acque nelle reti acquedottistica. Di nuovo, se ne perdi il 50% che ce la metti a fare? Per disperderla ulteriormente, impoverendo i pozzi? Inoltre, non è vero che l’acqua torna al terreno, ovvero se tu prelevi tanto e subito in poche ore quell’acqua ci metterà anni a tornare in falda.

Cosa dovremmo fare, allora?

Noi in Italia consumiamo 34 miliardi di metri cubi di acqua per tutti gli usi, agricolo, civile industriale. Il nostro obiettivo non deve essere garantire questa cifra, ma cercare di ridurre quel numero, riducendo di conseguenza il nostro fabbisogno idrico. E recuperando, ad esempio, quel 40% disperso nella rete.

E sul fronte agricolo?

In agricoltura abbiamo una media di 17 miliardi di metri cubi di acqua utilizzati. Ha senso andare a fare colture nel centro sud altamente idroesigenti? Non è meglio diversificare la tipologia di prodotti che si vanno a coltivare? Bisogna inoltre cambiare la zootecnia intensiva, cosa che si trasformerebbe in minore bisogno di acqua per il mangime. Terzo aspetto: l’irrigazione a cannone, a pioggia va archiviata, ormai la digitalizzazione e la microirrigazione e l’irrigazione puntuale fanno risparmiare fino al 70% di acqua. Infine, le acque reflue depurate, che sono ottimi fertilizzanti, se trattate in maniera specifica potrebbero essere riutilizzate in agricoltura, per andare in supporto. Invece ad oggi solo 4% del totale delle acque reflue depurate è destinato al riutilizzo in agricoltura a fronte di un potenziale del 23%.

L’economia circolare dell’acqua è urgente.

Sì, anche da un punto di vista industriale molta acqua viene usata e restituita nei fiumi, impariamo invece a riutilizzarla, depurandola e rimettendola in circolo. Inoltre è assurdo che nelle nostre case si utilizzi l’acqua potabile di qualità anche per lo scarico del water. Abbiamo messo un super bonus per le facciate, non si poteva dare un bonus per cercare di recuperare l’acqua piovana dai tetti? Stoccarla, immagazzinarla e differenziarne l’uso, anche aiutando il deflusso quando piove troppo?

L’autonomia peggiorerà le cose?

C’è il rischio di conflitti degli usi dell’acqua. Le ordinanza possono essere assurde, come lo stop alle piscine o agli autolavaggi e tra l’altro chi è che controlla vengano rispettate? Con l’autonomia differenziata sarà la stessa cosa, mi serve l’acqua per la pianura padana, la do al nord invece che al sud? La guerra dell’acqua si fa riducendo l’uso, da 33 miliardi a 28, 25 e trovando un equilibrio per garantire i giusti dell’acqua. E senza sbagliare la domanda: non come produrre o immagazzinare più acqua, ma se stiamo gestendo in maniera sostenibile l’acqua che abbiamo.