Il violento omicidio di Susana Beatriz Montoya, vedova di un desaparecido e madre di un noto attivista per i diritti umani, ha riacceso in Argentina la preoccupazione delle organizzazioni in difesa dei diritti umani e delle realtà che continuano a chiedere giustizia per i crimini commessi dalla dittatura militare. Non è la prima volta che un attivista viene minacciato, mentre il presidente Javier Milei e la vice Victoria Villarruel sono apertamente negazionisti nei confronti delle atrocità commesse dal regime di Jorge Videla (1976-1983) e ostili alle politiche di riparazione che continuano a essere definanziate.

Susana Beatriz Montoya, 76 anni, è stata ritrovata senza vita nella sua abitazione a Córdoba sabato 3 agosto, con colpi alla testa e tagli. Dipinto sulle pareti della casa, il messaggio “Li uccideremo tutti. Adesso andiamo a prendere tuo figlio #polizia”. Le indagini sono in corso e al momento non si esclude alcuna ipotesi. La vittima era un’attivista per la memoria e vedova di Ricardo Fermín Albareda, vice commissario della polizia di Córdoba e membro dell’Esercito Rivoluzionario del Popolo (ERP), organizzazione armata che si opponeva al regime. Nel settembre 1979, all’età di 37 anni, Albareda veniva rapito e tenuto prigioniero nel centro di detenzione clandestino Casa Hidráulica dove è stato torturato. Da allora, è una delle 30mila persone scomparse e, secondo le testimonianze raccolte negli anni, sarebbe morto dissanguato dopo essere stato castrato. Per la sua morte, nel 2009 sono stati condannati all’ergastolo il soldato Luciano Benjamín Menéndez e tre agenti della polizia della provincia di Córdoba.

Il figlio Fernando Albareda fa parte di Hijos (Hijos por la identidad y la justicia contra el olvido y el silencio), organizzazione di parenti delle persone scomparse durante la dittatura che conducono un lavoro per la memoria. Secondo quanto ha dichiarato alla tv ElDoce, nelle ultime settimane sua madre aveva ricevuto chiamate intimidatorie ed era molto preoccupata. Per Albareda, l’assassinio potrebbe essere legato a un risarcimento statale che la madre stava per ricevere come “riparazione” per la scomparsa del marito. Anche Fernando Albareda era stato minacciato alla fine dello scorso anno: sulla porta di casa aveva trovato sei proiettili calibro 22 e scritte come “Morirai” e “Farai la fine di tuo padre” accompagnate da svastiche.

In una dichiarazione congiunta le organizzazioni per i diritti umani, tra cui le Abuelas de Plaza de Majo, hanno espresso forte preoccupazione per l’omicidio di Susana Montoja chiedendo sia fatta chiarezza sul delitto e sulla minacce ricevute dalla famiglia. “I discorsi di odio, che continuano a diffondersi nella nostra società, rappresentano un pericolo latente fino a quando agiscono davvero”, si legge nella nota.

L’assassinio di Montoya accresce le critiche dell’opinione pubblica contro il governo del presidente Milei, finito di nuovo al centro delle polemiche anche a causa di alcuni deputati della sua coalizione, La Libertad Avanza, che a luglio hanno visitato Alfredo Astiz nel carcere di Ezeiza. Conosciuto come “Angelo della Morte” e “Angelo Biondo”, l’ex ufficiale navale sta scontando l’ergastolo per i reati di sequestro di persona, omicidio e tortura. Tra le sue vittime, ci sono tre madri di Plaza de Majo, che stavano cercando i loro figli scomparsi, e le suore francesi Alice Domon e Léonie Duquet. Secondo quanto ricostruito dal sito di notizie La Política Online, l’incontro nel carcere federale avrebbe coinvolto anche altri ex militari che agivano nel centro clandestino della scuola di addestramento della marina militare Esma nella capitale Buenos Aires.

“Siamo allarmati e preoccupati per il gesto di alcuni deputati de La Libertad Avanza che sono andati a visitare persone condannate per crimini contro l’umanità, mentre il governo svuota le politiche costruite in 40 anni di democrazia”, hanno scritto in un comunicato le Abuelas de Plaza de Majo. “Alfredo Astiz, Carlos Suárez Mason, Raúl Guglielminetti, Antonio Pernías e Adolfo Donda sono stati processati per il sequestro dei nostri nipoti. Non hanno mai mostrato rimorso per i loro crimini né hanno fornito alcuna informazione su dove si trovano i nostri figli e le nostre figlie, né su dove si trovano i circa 300 nipoti che stiamo cercando”.

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