Diritti

Meloni in Cina con la figlia: non una sfida culturale, ma l’esibizione di un privilegio

Le donne in Italia, checché ne dica la presidente del Consiglio, non mangiano brioche e difficilmente ne mangeranno in futuro. In una lunga intervista rilasciata a Chi, fresca di un viaggio in Cina in compagnia della figlia Ginevra, Giorgia Meloni ha toccato, tra altri temi, quello della condizione femminile in merito a maternità e occupazione. Ha detto che “meglio di così non potevo fare” e si è promossa a pieni voti; ma i dati ci rivelano uno scarto tra la propaganda meloniana e la realtà italiana. Quella che vivono quotidianamente coloro che dalla prima presidente del consiglio forse si aspettavano di più.

Quando Alessandra Bocchetti commentò, all’indomani dell’elezione della prima presidente del Consiglio; “ha rotto il soffitto di cristallo ma i cocci cadranno in testa alle italiane” fu preveggente. Dopo due anni, riprendendo quella illuminante metafora, si potrebbe dire che “ci cadono i vetri sulla testa e Giorgia Meloni ci dice che piove”. In un passaggio dell’intervista, la presidente del Consiglio elenca tutte le misure prese dal suo governo per sostenere la maternità e l’occupazione femminile: in realtà si tratta di bonus e ritocchini che non risolveranno i problemi strutturali che mettono le donne – e in particolare le madri single – a rischio di disoccupazione e povertà.

Linda Laura Sabbadini, statistica ed esperta degli studi di genere, due mesi fa così commentava su Repubblica il divario tra uomini e donne: “La Banca d’Italia aveva indicato che per contrastare la bassa occupazione femminile si doveva rafforzare la disponibilità di servizi per l’infanzia e per gli anziani non autosufficienti, favorendo il coinvolgimento dei padri nella cura dei figli e promuovendo il reinserimento professionale delle donne che hanno lasciato il lavoro da tempo”.

Il lavoro di cura divora il tempo delle donne e ne ostacola l’autonomia economica. I congedi per paternità obbligatori restano inchiodati a 10 giorni. Per molte lavoratrici precarie, scegliere di avere un figlio vuol dire un licenziamento certo. I fringe benefit sono a discrezione dell’azienda e hanno il tetto di 2mila euro. L’asilo è gratis ma solo per il secondo figlio, il bonus resta precluso alla stragrande maggioranza delle coppie che scelgono di mettere al mondo un solo figlio e che affrontano difficoltà perché gli stipendi in Italia sono fermi da più di vent’anni. Se n’è accorto persino Flavio Briatore.

La child penalty pesa sulle più giovani e l’incremento occupazionale riguarda soprattutto le donne con più di 50 anni. Si è molto lontani dagli obiettivi che Linda Laura Sabbadini indicava in un secondo articolo, criticando le scelte di Meloni: “dallo sviluppo di servizi di qualità per infanzia, anziani e disabili e misure per favorire una redistribuzione dei carichi di lavoro familiare all’interno della coppia. Tutt’altre priorità si è dato il governo Meloni fino a oggi. Sui servizi per l’infanzia la reintegrazione dei fondi del Pnrr ‘provvisoriamente’ tagliati sugli asili nido non è stata fatta. Siamo sempre al 28% di bimbi iscritti al nido, di cui la metà in nidi privati e con tasso di copertura molto eterogeneo a livello territoriale, con il Mezzogiorno penalizzato”.

In un contesto come questo, così svantaggioso e difficile per le madri lavoratrici, la scelta di portare la figlia con sé nel viaggio in Cina non è una “sfida culturale”, come ha dichiarato Meloni nell’intervista rilasciata a Chi, ma l’esibizione di un privilegio precluso alle altre donne. Una abile propaganda sulla sua immagine, qualcosa che si può ammirare o invidiare, come quando si guarda alla vita agiata di una qualunque influencer. Là fuori nel mondo reale le donne continuano a fare i salti mortali per conciliare lavoro e cura dei figli, spesso pietendo la benevolenza delle aziende per un cambio turno, o un part time, o allattando nel retro di un bar perché il proprietario non concede permessi, forte del ricatto di un contratto precario.

C’è anche una bizzarra contraddizione tra la scelta di farsi chiamare “il presidente del Consiglio” come se fosse un uomo, e legare la sua immagine pubblica al ruolo materno. Giorgia Meloni valorizza la madre ma svalorizza la donna restando coerente con le politiche familiste che mettono al centro il ruolo procreativo e non i diritti e la libertà delle donne.

La declinazione dei nomi al femminile non è affatto una banalità se ha allarmato così tanto Manfredi Potenti, un deputato della Lega, dal correre ai ripari con una proposta di legge per vietare il genere femminile negli atti pubblici. Meloni non snobba solo la declinazione al femminile, ma anche le quote rosa come se fossero un comodo scivolo verso il successo; mentre spiega all’intervistatrice quali sarebbero le vere battaglie, non denuncia mai con forza le discriminazioni che continuano ad ostacolare i progetti e i sogni delle donne e non ne rivendica i diritti. Da questo punto di vista, è una leader estremamente rassicurante per gli uomini del suo partito, tanto legati ad un conservatorismo reazionario che ha in odio il femminismo.

Il Global Gender Gap Report ha pubblicato nel 2024 la nuova classifica, l’Italia è scesa al 111esimo posto nella partecipazione delle donne alle attività produttive e indietreggia anche in altri settori; il divario tra uomini e donne, negli ultimi due anni, si è amplificato. Le donne in Italia non mangeranno brioche e, con buona parte di loro, Giorgia Meloni ha già scavato un solco. Lo fece fin dall’inizio, quando si disse donna, madre e cristiana. Le altre, le atee, le straniere, quelle che abortiscono, quelle che non vogliono essere madri, le femministe e chissà quali e quante ancora rimangono fuori dal suo roseo orizzonte.

@nadiesdaa