Al mondo creativo della Marvel Cinematic Universe (MCU) è successo quello che è accaduto, con le dovute identiche proporzioni, alla formula del “cinepanettone”: a un certo punto grattando oltre il fondo del barile hanno trovato il vuoto. Deadpool & Wolverine, 34esimo film MCU dal 2008, incasso planetario sicuramente ragguardevole – per il linguaggio sboccato e scurrile di Deadpool è vietato pure ai 18 ovvero classificazione R negli Usa -, è plastica rappresentazione di quel vuoto.
Una petulante, insistente, giocherellona metanarrazione, al posto di una più tradizionale narrazione, che si avviluppa attorno all’irriverente personaggio di Deadpool (Ryan Reynolds), alla sua ennesima “origin story”, al verboso ping pong tra flashback analettici e flashforward prolettici. In pratica il supereroe chiacchierone, sguardo e parola continuamente in macchina (si chiama rottura della quarta parete e non solo di quella) a spezzettare appunto il moncherino di storia, che esce dal racconto (sempre mai ce ne fosse uno) sproloquiando di Fox, Disney&co, facendo la battutina ironica sulla cultura woke, stazionando attorno alla porcheriola del pegging, reclamando pure l’intimacy coordinator.
Dicevamo della storia. Il solito groviglio di riferimenti fumettistici che non abbiamo letto (mica per snobismo, solo per mancanza di tempo) ma che potremmo riassumere da profani del MCU così: Wade Wilson non più nei panni di Deadpool sta vivendo una vitaccia del cavolo. Così, quando la TVA (Time Variance Authority) attraverso Mr. Paradox lo rapisce e gli comunica che la sua linea temporale si sta esaurendo a causa della morte di Logan/Wolverine (Hugh Jackman), Wade ruba a Paradox un marchingegno per modificare le linee temporali che gli permottono di viaggiare nel multiverso per rintracciare una variante di Logan che può salvarlo. Tempo di trovare il Wolverine peggiore al mondo e la TVA ricaccerà entrambi nel mondo discarica.
Lì, come sempre, ci sarà una carrellata di personaggi Marvel nonché di scontri all’arma bianca tra lame, coltelli, pallottole e sganassoni. Se siete arrivati fin qui e la reazione è quella di scaricare Bertoldo, Bertoldino e Cacasenno, fatelo pure. Perché se Deadpool & Wolverine era partito male, finisce anche peggio. La farcitura di ammiccamenti ai lettori Marvel è asfissiante, autoreferenziale, indigesta. Si carica esponenzialmente fino all’overdose.
Non si tratta più della detection da easter egg, ma di una vera e propria ossessionante celebrazione dell’argenteria di famiglia, con tanto di personaggi mai sviluppati quindi inesistenti (Channing Tatum che fa Gambit). Impossibile trovare un filo rosso accattivante o trascinante che non sia quello di Deadpool che dissacra ogni dettaglio saltellando o Wolverine che fa i musetti da cattivone peloso australiano. La cifra delle produzioni hollywoodiane oggi è questa roba qui. Tra l’inguardabile e l’infestante. Si spera nella saggia scelta di fare qualche passo indietro verso la chiusura della serie. La regia è di Shawn Levy, quello di Una notte al museo, oramai uomo ombra di Reynolds da qualche anno.