di Giorgio Boratto

Quello che si ritiene un’apertura al dialogo per una legge di fine vita da parte della Chiesa cattolica la si avvertiva anni fa con il libri di Hans Küng – teologo 1928-2021- sulla dignità del morire; sulla volontà di mettere al primo posto la volontà dell’uomo e riconosca al malato la libertà di scegliere come morire.

Nel libro del 2015 ‘Morire felici?’ Hans Küng affermava: “Per me morire felici non significa morire senza malinconia né dolore, bensì andarsene consensualmente, accompagnati da una profonda soddisfazione e dalla pace interiore. Del resto, è questo il significato della parola greca eu-thanasia: ‘morte felice’, ‘buona’, ‘giusta’, ‘lieve’, ‘bella’.”

In un altro libro ‘Della dignità del morire’, scritto con l’amico Walter Jens, storico della letteratura colpito da demenza senile, Hans Küng si interroga sull’assolutismo e il nichilismo, arrivando alla ricerca di una nuova prospettiva fondata sull’amore, la consapevolezza di sé e il rispetto del diverso. Un autentico inno alla gioia capace di rivolgersi a tutti, anche a chi non crede: perché sia il valore dell’uomo, e non il dogma, a guidare finalmente la nostra storia.

Però siamo in ritardo. Sempre. 15 anni fa finiva una lunga battaglia del papà di Eluana Englaro per porre fine ad un calvario durato 17 anni: non le si voleva eliminare la ventilazione e l’alimentazione forzata. Beppino Englaro fece una lunga battaglia che coinvolse anche molti politici per riuscire ad interrompere un accanimento terapeutico. Io ricordo anche l’intervento di Maurizio Sacconi (ex socialista) del governo Berlusconi che ostacolò quella decisione. Una brutta pagina di quel governo.

Ancora oggi abbiamo in Parlamento persone insensibili alla sofferenza e proni ad un credo religioso più becero della religione stessa.

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