L’atletica leggera italiana viene da tre anni di inaspettata e molto meritata gloria. Dopo decenni di magra in cui l’atletica azzurra è stata quasi completamente ferma senza raggiungere risultati, in tre anni il movimento ha portato a casa cinque ori olimpici a Tokyo, la prima Coppa Europa della sua storia e diverse vittorie e piazzamenti in mondiali ed europei. Proprio gli ultimi europei, quelli di Roma svoltisi tra il 7 e il 12 giugno scorso, oggi però sono sul banco degli imputati. Si nota infatti un’enorme differenza con le Olimpiadi di Parigi, non solo per quel che riguarda la lotta per i podi, ovviamente molto più dura nel contesto olimpico, ma soprattutto per le performance e i tempi, in alcuni casi molto peggiori rispetto ai dolci giorni romani.

Se Marcell Jacobs, Nadia Battocletti e Pietro Arese hanno migliorato le loro prestazioni, con il velocista capace di raggiungere una nuova finale olimpica nei 100 metri e scendere fino a 9’’85, la mezzofondista addirittura bronzo per qualche ora, prima dell’accoglimento del ricorso della keniana Kipyegon, ma comunque capace di stampare un nuovo record italiano nei 5000 con 14’31’’64 e lo specialista dei 1500 metri, ottavo in finale e con un altro record italiano in 3’30’’74, gli altri hanno fatto tutti male. Anche Larissa Iapichino, nonostante un ottimo quarto posto finale, ha poi detto di non aver fatto la gara che voleva fare, mentre un discorso a parte vale per Mattia Furlani, l’unica medaglia olimpica in questo momento conquistata a Parigi. Lui è oltre il concetto di forma da acquisire, è un campione assoluto e questo bronzo olimpico è solo il primo passo verso chissà quali destinazioni future.

I campioni d’Europa che l’Italia schierava a Parigi insieme a Jacobs e Battocletti, erano Lorenzo Simonelli nei 110hs, Leonardo Fabbri nel getto del peso, Antonella Palmisano nella 20 chilometri di marcia e Sara Fantini nel lancio del martello. Per i motivi più diversi, la loro esperienza olimpica è stata molto insoddisfacente. Fabbri ha fatto un nullo lunghissimo al primo lancio, poi ha lanciato molto male quando la pedana era asciutta. Voleva e poteva rifarsi, ma la pioggia gli ha praticamente impedito di continuare la gara. Solo quinto alla fine con 21.70, in una stagione in cui aveva lanciato oltre i 22 metri con grande costanza.

Lorenzo Simonelli ha vinto i 110 hs agli europei con uno spaziale 13″05, ha tenuto testa all’americano Holloway, poi oro olimpico, nel meeting di Montecarlo ma a Parigi si è sciolto ed è uscito in semifinale correndo in 13’’40. A Parigi l’argento è stato vinto con 13’’09. Antonella Palmisano a Roma dimostrò di essere in grande forma, ha continuato a dichiarare in questi giorni uno stato fisico eccezionale ma si è fermata durante la 20 km e non ha retto nell’ultima frazione della marcia mista a coppie con Massimo Stano, terminando sesta. Solo alla fine di questa gara si è scoperto che ha marciato con il Covid e anche una volta passato, le sue condizioni erano pessime. Infine Sara Fantini apre un altro capitolo in cui rientrano anche Chituru Ali, Filippo Tortu, Alessandro Sibilio, Luca Sito, Zaynab Dosso, Valentina Trapletti, che hanno tutti corso o marciato molto al di sotto delle loro possibilità e soprattutto dei tempi di Roma e di questa stagione in generale.

Questa evidenza, che è più di un semplice indizio, porta alla classica domanda che spesso si sono fatte anche altre Nazionali troppo in palla per un evento preolimpico: gli europei di Roma hanno creato un picco di forma in un momento diverso dalle Olimpiadi? E insieme a questo, è possibile che le grandi giornate romane di giugno abbiano creato un senso di confidenza troppo elevato, che ha in parte bloccato e in parte fatto rilassare troppo gli atleti quando poi sono arrivati sul palcoscenico enorme di Parigi 2024? Una risposta univoca non è possibile, ma come è successo anche ad altre squadre e altri atleti nel corso della storia, avere due eventi topici nella stessa stagione non è mai un bene. Quanti americani hanno fatto male alle Olimpiadi perché concentrati prima a superare i trials interni? Tanti protagonisti dell’atletica leggera europea hanno saltato la competizione di giugno oppure vi sono arrivati in una condizione crescente, ma non al top. L’Italia era “spalle al muro” da questo pinto di vista, perché avere la possibilità e in un certo senso l’obbligo di onorare gli europei casalinghi era quasi necessario. Averlo fatto non è un peccato. Molto più fastidioso è pensare a chi ha deciso di posizionare quella competizione in quel momento dell’anno, a ridosso dei Giochi olimpici. All’atletica leggera italiana ha fatto uno scherzo in alcuni casi atroce, ma tornare indietro ormai non è più possibile.

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