Società

La vera parità di genere si avrà solo prendendo seriamente in considerazione la paternità

di Jakub Stanislaw Golebiewski

In risposta al post della dottoressa Nadia Somma, che mette in luce le numerose sfide affrontate dalle donne italiane, in particolare dalle madri lavoratrici, è essenziale approfondire un tema ancora troppo spesso trascurato: la mancanza di fiducia verso la paternità. Questo aspetto, poco discusso, costituisce una delle principali barriere alla realizzazione di una vera parità di genere, sia nel mondo del lavoro che all’interno delle famiglie.

Il fatto che in Italia i congedi di paternità obbligatori siano ancora limitati a soli 10 giorni è emblematico di una visione istituzionale che non riconosce pienamente il ruolo dei padri come caregiver. Questo dato è particolarmente preoccupante se consideriamo che, in Paesi come la Svezia o la Norvegia, i congedi parentali per i padri possono durare diversi mesi, con notevoli benefici per l’equilibrio familiare e la parità di genere. Quando le istituzioni e le aziende non promuovono attivamente la partecipazione maschile alla cura dei figli, si perpetua l’idea che questo sia un compito esclusivamente femminile, costringendo le donne a sopportare la maggior parte delle responsabilità familiari, spesso a scapito della loro carriera e della loro autonomia economica.

Questa asimmetria genera una frattura profonda nella nostra società. Da un lato, ci sono le madri, che per necessità si trovano a fare i “salti mortali” per conciliare lavoro e famiglia, spesso a costo di rinunce professionali. Dall’altro ci sono i padri, spesso relegati a un ruolo secondario, nonostante molti desiderino un coinvolgimento più attivo nella vita dei propri figli. Non di rado, si assiste a padri separati impegnati in contenziosi giudiziari per ottenere un ampliamento del tempo da trascorrere con i propri figli, evidenziando un desiderio di partecipazione genitoriale che spesso non trova sufficiente riconoscimento né nella cultura dominante né nelle attuali politiche pubbliche.

Questa mancanza di fiducia nella paternità non è solo un problema dei padri, ma coinvolge anche le madri, schiacciate tra aspettative sociali e la realtà di una condivisione del carico familiare che spesso non avviene. I dati confermano questo squilibrio: secondo il Global Gender Gap Report del 2024, l’Italia è scesa al 111esimo posto per partecipazione delle donne alle attività produttive, un segnale allarmante di quanto il divario di genere stia peggiorando.

Per superare questa impasse, è fondamentale che lo Stato e le aziende riconoscano e valorizzino il ruolo centrale della paternità. Un passo concreto sarebbe l’estensione dei congedi di paternità obbligatori, rendendoli non solo più lunghi ma anche più incentivati a livello economico. Per promuovere una reale equità, il congedo parentale per i padri in Italia dovrebbe durare almeno 3-4 mesi, essere adeguatamente retribuito e non trasferibile, così da incentivare la loro partecipazione e avviare un cambiamento culturale verso una responsabilità condivisa nella crescita dei figli.

Infine, la retorica della “madre eroina” che riesce a conciliare tutto da sola è non solo dannosa, ma anche anacronistica. È ora di promuovere un modello familiare più equo, dove la cura dei figli non sia un peso esclusivo delle donne, ma una responsabilità condivisa. Solo così potremo davvero sperare di eliminare la child penalty, offrendo a tutte le donne la possibilità di realizzarsi pienamente, sia come madri che come professioniste.

Se vogliamo davvero affrontare le disuguaglianze di genere in Italia, dobbiamo iniziare a parlare seriamente del ruolo della paternità nella cura dei figli. Solo allora le donne potranno sentirsi libere di scegliere il proprio percorso, senza il peso schiacciante di dover gestire da sole il lavoro di cura. Questo cambiamento è non solo possibile, ma necessario, per costruire una società più giusta ed equa per tutti.