Non è stata Paola Egonu a realizzare l’ultimo punto, quello vincente, durante la semifinale di pallavolo femminile che vedeva contrapposte Italia e Turchia. L’ultima schiacciata, quella che ha siglato l’accesso per la prima volta nella storia alla finale olimpica, non è stata la sua. Questa nazionale, infatti, non è più Egonu-dipendente. E la prima a beneficiarne è proprio la stessa Egonu, che appare ora più serena e motivata, perfino più forte. Doveva arrivare Julio Velascore Mida della pallavolo e matador della nazionale di volley del secolo (lo scorso) – per intuirlo. Ciò a cui eravamo, infatti, abituati nella gestione precedente era un gioco assai polarizzato, in cui l’opposta di Cittadella veniva sollecitata di continuo ed esposta dunque ad un alto rischio di stress e di errore. Divenendo così, suo malgrado, vittima di aspre critiche, sia da parte di commentatori della tv pubblica, sia sui social, dove il centro del discorso è stato anche spostato dal suo gioco al colore della sua pelle.

Velasco ha perciò intuito in anticipo quanto il podio di questa Olimpiade parigina sta dimostrando, che cioè i personalismi in una squadra funzionano poco: basti guardare tanto alla Serbia (con Tijana Bošković) che scivola fuori dalle prime quattro, quanto alla Turchia (con Melissa Vargas) e al Brasile (con Gabi Guimarães), team di primo livello che fondano il loro gioco su alcune attaccanti eccellenti, ritrovatisi però fuori dalla finale per l’oro.

Questo il primo e delicatissimo passo di Julio Velasco per rivitalizzare la nazionale dopo le polemiche della precedente gestione affidata al ct Davide Mazzanti. Recuperare il rapporto di Egonu con la squadra e con la federazione dopo il disastroso Europeo del 2023 che l’aveva vista in panchina, ridefinendo la sua posizione. Come ha detto in tutte le interviste sin dall’inizio della nuova avventura con la selezione femminile, per Velasco non tutte le giocatrici hanno lo stesso ruolo e peso – questo è un adagio che portava avanti anche all’interno della Generazione dei fenomeni – ma tutte hanno lo stesso diritto di sentirsi parte della squadra. Per cui, avendo chiaro il ruolo di Egonu quale principale terminale d’attacco – contro la Turchia l’opposta azzurra ha realizzato ben 24 punti, risultando la topscorer dell’incontro – il ct si è concentrato sulla giocatrice. Velasco l’ha definita una delle più forti al mondo. Ci ha lavorato tecnicamente e tatticamente. E ora è davvero così: oltre a scagliare missili dalle vette che raggiunge, piazza pallonetti, è ben posizionata in difesa e a muro e più efficace in battuta. Fondamentale è stato anche rimodulare il compito della neofita Ekaterina Antropova (per tutti Kate), usata non come rivale di Egonu ma come sua riserva.

L’ottima seconda alzatrice Carlotta Cambi e Kate, infatti, entrano con il famoso “doppio cambio” quando sul finire del set la diagonale tra Egonu e la palleggiatrice Alessia Orro inizia a non cogliere più di sorpresa le avversarie, come è naturale che sia in una lunga partita, oltre che per avere una giocatrice alta ed valida a muro in prima linea. Il risultato, come si è notato, è vincente. Così, migliora la performance della giocatrice e si abbassa insieme lo stress e l’esposizione del personaggio Egonu, su cui – diminuendo interviste e dichiarazioni al minimo – si sono affievolite le luci della ribalta in precedenza puntate di continuo.

Non è più dunque la nazionale di Paola Egonu, ma è diventata la nazionale di Velasco. L’ennesima, vien da dire, e l’ennesima vincente, vien da aggiungere dati i risultati. Una nazionale che ha i suoi punti fermi. Uno, basilare, è stato riconsegnare il ministero della difesa alle mani di Monica De Gennaro, il migliore libero al mondo nonostante i 37 anni. Capace di difendere qualsiasi attacco, anticipando con grande sensibilità le mosse delle avversarie. Venendo poi ai laterali, il ct Velasco ha riportato in campo una giocatrice di grande stabilità come Caterina Bosetti e ha puntato su un’attaccante brillante come Miriam Sylla (per lei, 12 punti contro la Turchia), che però viene sostituita nel giro in seconda linea dall’ottima Gaia Giovannini, che eccelle nei fondamentali di ricezione-difesa. Per il gioco al centro, infine, la colonna della squadra è la capitana Anna Danesi – veterana della maglia azzurra – e il suo “murone”. Accanto a lei, le giovanissime Sarah Fahr, protagonista di una prova superba in semifinale, e Marina Lubian sovente utilizzata per il suo servizio float assai pungente.

Un sistema in cui domina la chiarezza, in cui ciascuna giocatrice è consapevole del proprio ruolo ed è felice del contributo che può dare alla squadra, motiva le ragazze a le spinge a dare il meglio. Del resto, che sia comunitario il principio attorno a cui si avviticchia la ricetta dell’allenatore-filosofo, lo suggerisce anche la suddivisione della panchina tecnica. Velasco ha chiamato a sé Lorenzo Bernardi (eletto dalla FIVB “Miglior giocatore di pallavolo del XX secolo” e punta di diamante di quella Generazione) e l’ottimo Massimo Barbolini, allenatori rispettivamente dei club di Novara e Scandicci, tra i migliori del nostro campionato femminile. Grazie a Barbolini che si occupa delle centrali e del sistema muro-difesa, la nazionale italiana ha rafforzato il muro, che poi ha fatto la differenza negli scontri sia con la Serbia sia, da ultimo, con la Turchia. Bernardi sovrintende invece alle attaccanti laterali e alle palleggiatrici. E tutti e tre insieme studiano le avversarie e preparano tatticamente i match. Velasco, tornato alla pallavolo italiana, torna a vincere. Se sarà oro o argento, lui non fa previsioni. Ha solo una certezza. Sull’ossessione dell’oro olimpico – la sola medaglia che l’Italia non ha vinto – è perentorio: “Basta!”.

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